Hockey

Cento volte Luca Cereda

Il bilancio (parziale) del tecnico, prima di partire per Ginevra. 'Non ho avuto giorni più complicati di altri, ma li ho vissuti tutti a mille all'ora'

24 gennaio 2019
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Ne sono passate cento. Da quella dell’8 settembre 2017 in cui aveva esordito ufficialmente sulla panchina dell’Ambrì Piotta (a Lugano) alla partita di martedì alla Valascia contro il Davos. Iniziati con un successo, i primi cento match di Luca Cereda alla transenna biancoblù si sono dunque chiusi allo stesso modo.

Come per i politici (con cui si stila un bilancio dei primi cento giorni dalla loro entrata in carica), anche per Cereda è tempo per un bilancio parziale. Iniziando dai punti: 57 quelli totalizzati dall’Ambrì Piotta al termine della scorsa regular season (1,14 punti a partita di media), 58 quelli già contabilizzati questa stagione, dopo 36 giornate (1,61). Un bel passo avanti... «Indubbiamente, ma restiamo pur sempre una delle squadre con meno esperienza in fatto di partite giocate nel massimo campionato: abbiamo tanto da migliorare, da imparare – premette il tecnico di Sementina –. Ma sappiamo pure che lavorando bene, questo passo avanti è possibile. Ed è pure l’unica strada che possiamo e dobbiamo percorrere. Se continuiamo a insistere sul lavoro quotidiano è perché siamo persuasi che giocando, e anche sbagliando, questi giovani possono imparare, e lavorando costantemente possono migliorare».

Si sente il peso delle 100 partite sulle spalle? «A farsi sentire, piuttosto, è il peso della responsabilità della mia carica: sono l’allenatore di un club importante. Ma è un peso che ci dividiamo a metà io e Paolo (Duca, il direttore sportivo, ndr), e dunque è meno gravoso. Ognuno di noi, giocatori e staff tecnico, cerca di fare del suo meglio; e quando lavori bene (anche se nello sport non c’è garanzia), prima o poi raccogli i frutti».

Come è cambiato Cereda rispetto al suo esordio alla transenna di una squadra di Lna? «La sera del debutto c’era un po’ di curiosità, soprattutto per capire a che punto eravamo dopo la lunga preparazione estiva. Era tutta un’incognita. Adesso c’è meno timore in quel senso, ma al di là di questo non è che siano cambiate molto le mie sensazioni: l’adrenalina e la tensione quando si comincia una battaglia sono le stesse di allora».

Guardandoti indietro, c’è una partita di queste 100 che ricordi con più emozione? «Sicuramente il mio esordio: il debutto è sempre speciale, e poi quello era un derby, vinto per giunta. Poi citerei il successo col Kloten, che ci ha regalato la salvezza: in quel momento ho sentito sciogliersi il peso che gravava sulle mie spalle».

E i momenti delicati? «Nella vita di un allenatore di momenti tranquilli non ce ne sono. Quasi quotidianamente sei confrontato con dei problemi; alcuni più facili da risolvere, altri invece più complessi. All’allenatore spetta il compito di trovare il modo di risolverli, di portare soluzioni e andare avanti. Non ho avuto giorni più complicati di altri, ma li ho vissuti praticamente tutti a mille all’ora».

Veniamo alla stagione attuale: te l’aspettavi così? «Più che un ideale di classifica, mi ero fissato una tabella di marcia in termini di lavoro. Speravo di vedere l’attitudine giusta da parte di tutti, di vederli impegnarsi sia in partita, sia in allenamento. È questo che ti permette di andare a casa soddisfatto a fine giornata. E questo spirito lo vedo ogni giorno».

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