Hockey

Fora, nuova vita all’argento

Il ventiduenne difensore ticinese ha fatto ritorno a casa: 'Soltanto adesso sto cominciando a rendermi conto di ciò che abbiamo realizzato'

23 maggio 2018
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Ha la medaglia in tasca, Michael Fora. E mille pensieri per la testa, souvenir di un’indimenticabile e incredibile campagna danese. «Di sicuro c’è ancora delusione: la sto digerendo, ma ci vorrà un po’» dice il ventiduenne difensore ticinese, mentre fa la sua apparizione al bentornato che l’Ambrì decide di organizzare per il ritorno del suo capitano. Cerimonia a cui, tra gli altri, non mancano il presidente Filippo Lombardi, il coach Luca Cereda e alcuni suoi compagni di squadra. «Se c’è più amarezza o più fierezza? Non saprei cosa rispondere – spiega –. Senza doverci riflettere, direi amarezza, vedendo quanto ci siamo andati vicini al quel titolo. Diciamo che sto cominciando a rendermi conto solo ora di ciò che abbiamo fatto. E di quanto sia importante quell’argento per il nostro Paese».

Del resto, nella sola Svizzera tedesca – per ora, gli unici dati disponibili sono quelli – addirittura un milione e mezzo di televisori era sintonizzato su Srf2 durante l’appendice dei tiri di rigori. «Senz’altro è stato un momento di coesione. Anche solo pensando all’eccezionalità di un evento del genere, cioè una finale mondiale. Poi, è bello vedere un po’ di hockey in tivù nel mese di maggio, visto che di regola di questi tempi non c’è granché».

Se ti chiedessero un bilancio personale di quest’avventura, cosa risponderesti? «Che non sono stato al top in tutte le partite, ma questo me lo potevo senz’altro immaginare, e fa pure parte del processo di crescita. Ma, anche se so di aver commesso diversi errori, direi che sono contento. Perché sono cresciuto a mano a mano che il torneo avanzava, e mi sono fatto trovare pronto all’appuntamento con la finale, dove credo di aver dimostrato di poter giocare a questi livelli».

Dal 9 aprile, giorno in cui è stata divulgata la tua convocazione, sia in preparazione, sia al Mondiale, hai giocato praticamente un po’ con tutti. Segno che Fischer ha creduto in te sin da subito. «Sapevo che mi voleva in squadra, ma naturalmente finché non avrei messo piede in Danimarca non avrei potuto sapere che in quel gruppo c’era un posto anche per me».

L’esempio di Romain Loeffel, tagliato a fine aprile, insegna. «Infatti. E trovo che lui sia un gran giocatore. La verità, però, è che in Nazionale nulla è scontato. E credo che sia giusto così».

A Copenaghen ed Herning in quella squadra da una parte c’eravate voi, dall’altra gli svizzeri che giocano in Nhl. Questa diversità era avvertibile nello spogliatoio? «No, assolutamente: non c’era alcun tipo di disparità. Per prima cosa eravamo tutti uno compagno dell’altro. Poi è chiaro, sul ghiaccio si vedeva che loro avevano una marcia in più, com’è normale che sia. L’ho detto più volte, che questo era un grande gruppo, molto unito davvero».

E quel gruppo come l’ha vissuta l’ultima notte danese? «Se abbiamo festeggiato? Qualcosina. In verità c’era quel persistente retrogusto amaro in bocca... Un po’ per tutti la testa era ancora a quella partita: è difficile metabolizzare subito qualcosa che capita tanto in fretta... Poi, però, quando si è aperto il portellone dell’aereo a Zurigo si cominciava a vedere le cose in maniera diversa».

Te l’aspettavi, un’accoglienza del genere? Con migliaia di tifosi pronti a ricevervi a braccia aperte? «No, onestamente così tanta gente non me l’aspettavo proprio. A quel punto sono venute a galla le emozioni, e abbiamo iniziato a renderci conto di aver realizzato qualcosa di importante».

Quindi è arrivato il momento del congedo. Hai parlato con ‘Fischi’ prima di partire? «Sì, un po’ abbiamo discusso. Mi ha dato qualche consiglio, spiegandomi alcune cose su cui, secondo lui, dovrei lavorare».

Dopo quest’esperienza, ai suoi occhi credi di avere una specie di bonus, rispetto ai nuovi giocatori che arriveranno in futuro? «Non saprei. Io intanto ho dimostrato ciò che ho dimostrato, ma il posto in squadra bisogna guadagnarselo comunque ogni giorno. Ciò che uno ha fatto in passato non può essere abbastanza».

Dopo quasi un mese e mezzo in quel gruppo, non ti sembra un po’ strano ripiombare così, improvvisamente, alla normalità? «Un po’ strano effettivamente lo è stato stamattina, quando mi sono accorto di non essere più con gli altri. In quella specie di routine, per piacevole che fosse. Stavo quasi per chiedermi cosa avrei dovuto fare domani, mentre domani non devo far niente, siccome sono in vacanza», ride.

A proposito: hai già deciso quale sarà la meta? «Sinceramente no. Finora non ho avuto troppo tempo per pensarci...».
E la medaglia, invece? Il suo posto in casa già ce l’ha? «No – sorride –. Ma lo troverà presto».

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