Hockey

Petrovicky appende i pattini al chiodo a 42 anni. L'ex stella dell'Ambrì: "Questa è l'ultima stagione"

Trencin, 2015
23 novembre 2015
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Classe 1973, arrivò nell’estate del 2001 ad Ambrì. Sono passati quasi 3 lustri e lui continua a disegnare pregevoli geometrie sul ghiaccio e a incantare con la sua tecnica. Robert Petrovicky, ormai 42enne, è eterno. «Non ho una pozione magica», afferma con una sonora risata il numero 39, numero da sempre indossato in onore della madre, morta a quell’età investita da un automobilista ubriaco. «Semplicemente amo ancora questo sport, mi piace giocare e sono stato fortunato a subire pochi infortuni durante la mia carriera. Gioco a Trencin, la mia città d’origine dove sono cresciuto. Voglio “ridare” indietro qualcosa, ma posso affermare gia ora che questa sarà la mia ultima stagione». E che stagione, malgrado l’età “Robo” ha già totalizzato 1 gol e 14 assist in 24 partite.

Il focus è fissato quasi completamente sull’hockey giocato, ma chiaramente un pensiero al futuro imminente è d’obbligo. «La mia volonta è di restare in questo mondo e diventare coach. Ho intavolato delle discussioni, il prossimo anno mi piacerebbe diventare assistente e imparare il mestiere. Vivere le partite da un’altra prospettiva, quella della panchina, mi affascina. Spero di avere un’occasione». Anche perchè in Slovacchia il lavoro non manca. «Sono tempi duri e difficili per il nostro movimento hockeistico. La nuova generazione usufruisce di molte altre possibilità nel tempo libero. E poi c’è l’internet, oggi i giovani passano molto tempo giocando online attaccati a un computer oppure usando i Social Media come Facebook. Ai miei tempi invece esisteva quasi solo l’hockey. Qualche promessa comunque c’è. È compito di noi “vecchi” stimolare i giovani e motivarli nell’intraprendere e coltivare questa disciplina». Uno di questi elementi interessanti è Martin Réway, un ventenne slovacco che ha appena firmato a Friborgo. «È un giovane dotato di grande talento, ha ottime capacità. Deve concentrarsi esclusivamente sul giocare a hockey e non farsi distrarre da altro».

I fasti del 2002, quando la Slovacchia si laureò Campione del mondo ai Mondiali svedesi, sono un lontano ricordo. Le grandi star sono sempre meno e stanno invecchiando (Gaborik, Hossa, Chara, Stümpel, Handzus), altre hanno ormai smesso (Bondra, Satan, Palffy, Svehla, Zednik ), Pavol Demitra è tragicamente scomparso nell’incidente aereo del 2011 costato la vita praticamente all’intera squadra del Lokomotiv Yaroslav. «Il Mondiale vinto con la nazionale rimarrà un grandissimo eterno ricordo, una sensazione incredibile. Eravamo una squadra molto forte. È l’highlight della mia carriera. Partimmo a stenti, ma durante il torneo crescemmo di rendimento. L’accoglienza al ritorno in quel di Bratislava fu memorabile. Ho riprovato un po’queste emozioni proprio 10 anni più tardi, quando nel 2012 la Slovacchia arrivò in finale ai Mondiali di Helsinki. Vladimir Vujtek, che è il mio suocero, era l’allenatore della Slovacchia in quella circostanza. Una curiosa coincidenza. Andai a vedere la finalissima contro la Russia e rientrai in aereo con il team, in sostanza ero un tifoso».

25 anni di carriera, 6 dei quali, dal 2001 al 2007, trascorsi in Svizzera. «Conservo splendidi ricordi. Mi è rimasta impressa specialmente la prima stagione disputata in Ticino. Forza Ambrì!», grida il centro dimostrando di ricordarsi la frase in fondo più importante per qualsiasi straniero che giunge in Leventina. «Ho lasciato parecchi amici in Ticino, penso a Pauli Jaks e a Manuele Celio ad esempio. Ho apprezzato molto la vostra cultura e lo stile di vita. E i tifosi erano eccezionali. Quanto calore! Dopo due stagioni è stato il turno di Langnau, purtroppo mi sono infortunato all’anca e ciò mi ha complicato di parecchio la vita, con un impatto negativo sul mio rendimento. Poi tre bellissimi anni a Zurigo, una città piena di cultura e di fascino. Lì giocai una finale».

La Svizzera è stata una delle innumerevoli tappe che hanno permesso a Petrovicky di vivere in tante parti del globo in questi lunghissimi anni di attività: Usa, Lettonia, Finlandia, Svezia, Cechia. Dalla defunta Cecoslovacchia alle leghe minori nordamericane, dalla Nhl all'Europa occidentale e alla Khl. «Un rimpianto? Potessi tornare indietro non andrei a soli 18 anni in America. Ero ancora un bambino a quell'epoca. Sarebbe stato meglio aspettare qualche anno per maturare ulteriormente. Ho trascorso parecchie stagioni piene di trasferimenti, scambi e tragitti tra leghe minori e Nhl. Dopo 9 anni ne ho avuto abbastanza, volevo giocare di più e quindi tornai in Europa».

Petrovicky, draftato dagli ormai scomparsi Hartford Whalers come nona scelta assoluta nel 1992, ha disputato in totale 210 partite in Nhl con Hartford, Dallas, St. Louis, Tampa e Islanders oltre a 3 Olimpiadi (1994, 1998, 2002) e 5 Mondiali. «Ho avuto un’ottima carriera, sono soddisfatto e non posso di certo lamentarmi. Ho conosciuto tante persone, costumi, culture e tradizioni di molti paesi. Tornare in Svizzera? E chi lo sa, le vie dell'hockey sono infinite. Magari in qualità di allenatore e perchè no, magari proprio ad Ambrì», conclude lo slovacco, ricordato alle nostre latitudini specialmente per avere formato un grande tandem in Leventina con Tomas Vlasak (fresco di ritiro).

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