CALCIO

Fulvio Sulmoni apre il libro

In 'Piacere di averti conosciuto' l'ex difensore smonta il mito di un mondo del pallone fatto solo di lustrini e paillette. 'I ragazzi devono conoscere le insidie che si celano'

22 settembre 2020
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Non ho la presunzione di trovarvi tutti d'accordo. La speranza è tuttavia che la mia testimonianza di vita e di esperienze nel mondo del pallone generi delle riflessioni che possano aiutare anche solo una persona a prendere le giuste decisioni in merito al proprio futuro sportivo e non.

Sono le ultime parole dell'introduzione di Piacere di averti conosciuto, libro nel quale Fulvio Sulmoni, uno dei più importanti calciatori ticinesi degli ultimi vent'anni, mette a nudo 27 anni trascorsi a rincorrere un pallone, 15 dei quali da professionista. È una testimonianza dura, cruda, quella offerta dal 34.enne ex difensore, ritiratosi a inizio anno durante il lockdown. Un pugno nello stomaco soprattutto per chi il baraccone mondiale del calcio lo vive soltanto attraverso la visione distorta dei social media, tutto lustrini e paillette, belle donne, macchine costose e feste nelle ville in riva al mare. Il calcio non è questo, o meglio questa è soltanto la punta dell'iceberg, sotto la quale si sviluppa un sottobosco di sofferenza (fisica e psicologica), disagio, soprusi e affari poco edificanti. Un mondo che Sulmoni descrive in un racconto toccante, all'interno del quale si mescolano episodi di una lunga carriera sportiva e momenti personali: «L'obiettivo è di sensibilizzare ragazzi e genitori su un mondo non facile. Ciò non significa che non si debba inseguire una carriera da professionista, ma occorre farlo con le spalle coperte da un piano B, fatto di studio o di un mestiere per il futuro, perché come dico nel libro, il calcio ti può masticare e sputare da un momento all'altro e quando accade ti ritrovi sul marciapiede della vita, abbandonato a te stesso, senza più l'aiuto di chi un giorno ti riempiva di pacche sulle spalle, pacche che rimangono un lontano ricordo».

'Quasi un'esigenza terapeutica'

Il libro è nato su suggerimento della moglie Paola... «Vedendo in me un ragazzo che tendeva a somatizzare le emozioni, mi ha consigliato di iniziare a scrivere per buttar fuori tutto quanto mi rodeva dentro e mi creava disagio. Nel giro di un paio d'anni ho raccolto parecchio materiale e tutto sarebbe potuto finire in un cassetto del mio comodino. Trovo però sia importante condividere questi miei pensieri, perché il malessere che io ho provato per così tanti anni lo hanno vissuto e lo stanno vivendo molti miei colleghi».

Fulvio Sulmoni è una persona sensibile e lo conferma un episodio emblematico, raccontato nel libro, relativo alla prima convocazione per la selezione svizzera U15. Ma il mondo del calcio professionistico non è adatto a ragazzi troppo sensibili... «Non è adatto o è comunque molto duro. Penso lo sia anche per chi crede di avere una corazza protettiva, perché quello del calciatore è un mestiere che coinvolge l'aspetto emotivo e perciò colpisce chiunque. Alcuni di noi hanno trovato il modo di bypassare il problema, altri, al contrario, lo subiscono in tutta la sua forza».

Dietro la patina dorata, un mondo spietato

Nel libro, Sulmoni tocca tutti gli aspetti della sua lunga carriera: i giorni in cui il calcio era un semplice divertimento, i momenti di crisi, gli attori principali, dagli allenatori ai procuratori, dai direttori sportivi ai presidenti. Di nomi non ne fa, o meglio si limita a citare le persone che hanno incrociato la sua strada e dei quali nutre un ricordo positivo: Raimondo Ponte (nonostante questo aspetto un po' "militaresco", Raimondo nasconde un cuore d'oro), Urs Fischer (molto sensibile e intelligente), Andreas Gerber (nella mia carriera sportiva ho conosciuto un solo direttore sportivo che ha tutt'ora la mia stima), Carlo "Cao" Ortelli (sono stato fortunato ad avere un formatore come lui), Maurizio Ponti e Roberto Maragliano (un medico e un fisioterapista di fiducia eccezionali)... «Il mio scopo non è quello di fare del pettegolezzo. Certo, alcuni aneddoti li ho inseriti e chi è addentro alle cose di calcio magari può riconoscere quell'allenatore o quel dirigente, ma il mio obiettivo non è questo. Voglio far passare il mio messaggio, far capire che basta grattare con il mignolo e dietro alla patina dorata che tutti ammirano vi è un mondo spietato nel quale regna l'egoismo (ognuno pensa per sè. Non esiste il gruppo. Non esistono i compagni. Non esiste la squadra o la maglia che si indossa) e la ricerca del profitto economico del calciatore, dell'allenatore, del procuratore, del presidente».

Fatta certa l'assoluta buona fede di Sulmoni, il quale nel libro si sofferma anche su aspetti personali molto dolorosi, come il tumore che lo ha colpito nel 2018, viene da chiedersi come sia riuscito a resistere a 15 anni di tormento professionistico... «Capisco che questa domanda possa nascere spontanea. E per me è difficile dare una risposta. Nel calcio convivono momenti brutti, ma anche grandi soddisfazioni e queste ultime mi hanno probabilmente portato ad andare avanti. Non so perché non sia riuscito a smettere prima, confrontato con un mondo nel quale, sostanzialmente, non mi trovavo a mio agio. Ma il calcio è lo sport che ho amato immensamente da ragazzino e da adolescente, quando con gli amici mi sfinivo sui campetti a furia di rincorrere un pallone. La presa di coscienza è iniziata con il passaggio al professionismo, quando sono venuti a galla interessi, obiettivi, soldi, budget, scelte di procuratori, manager e allenatori... Al di là di tutto, forse c'era anche la paura di abbandonare un gioco che mi piaceva e affrontare il salto nel buio di un post carriera senza certezze, nel quale mi sarei dovuto costruire una nuova vita».

Molti ex calciatori desiderano rimanere nell'ambiente anche a carriera conclusa. Non è il caso di Fulvio Sulmoni... «È troppo presto, adesso non riesco nemmeno a guardare una partita di pallone. Mi ci vorranno anni di disintossicazione. In futuro non scarto l'idea di lavorare con i ragazzini, ma deciderò dopo aver valutato le esigenze della mia famiglia. Che adesso mi voglio godere e che ha tutta la mia priorità».

Piacere di averti conosciuto è un viaggio duro e impegnativo e forse non tutti lo appezzeranno... «Mi auguro che la reazione sia positiva. Non ho voluto togliermi sassolini dalle scarpe, ma portare alla luce la mia esperienza di vita. So di colleghi che vivono le stesse ansie, ma che preferiscono non uscire allo scoperto. Anche in questo campo fare outing può rivelarsi pericoloso per la carriera, ma trovo un peccato che coloro i quali hanno chiuso la carriera non siano disposti a fornire le loro testimonianze, vuoi perché non desiderano mettersi in gioco, vuoi perché preferiscono mantenere lo status di uomini invincibili, perfetti e sicuri di loro stessi».

Leggendo il libro sorge spontanea una domanda: esiste l'amicizia nel calcio? «Direi proprio di no. Ho ex colleghi con i quali sono rimasto in buoni rapporti, ma non si può parlare di amicizia. Ci sono troppe maschere dietro le quali ci nascondiamo. Del mio disagio nello spogliatoio credo non si sia accorto nessuno, così come io non mi sono accorto del probabile malessere di alcuni mei compagni.

Stefano Ferrando: 'Un punto di riferimento'

La prefazione del libro è stata curata da Stefano Ferrando, giornalista della Rsi... «Fulvio non l'ho visto crescere, l'ho conosciuto a carriera già iniziata. In tutti questi anni è stato una persona alla quale fare riferimento quando bisognava andare "oltre" (al fuorigioco, al gol, alla formazione...). Non a caso quando nelle squadre in cui ha militato le cose non andavano bene e c'erano castagne da togliere dal fuoco, quasi sempre davanti ai microfoni si presentava proprio lui. Ho figli anch'io e credo che leggendo le parole di Fulvio un genitore non possa che provare un brivido».

Alla presentazione del libro ha partecipato anche Giona Morinini, psicologo dello sport... «Non credo che casi come quello di Fulvio siano isolati. Lo sport è un mondo particolare, a maggior ragione quando diventa professionismo. Per troppo tempo si è accettato senza battere ciglio l'idea che il risultato debba essere posto al di sopra di qualsiasi altra considerazione: il fine giustifica i mezzi e non sempre i mezzi sono esemplari. Negli ultimi anni molte federazioni e società si sono rese conto che l'aspetto del risultato a breve termine non è l'unico obiettivo da raggiungere: dietro al meccanismo vi sono bambini e bambine ai quali va prestata attenzione, come persone prima ancora che come atleti. Per esternare considerazioni come quelle di Fulvio occorre coraggio: il rischio è di ritrovarsi in un contesto nel quale tutti gli altri negano, lasciandoti ancor più isolato».

A favore dell'associazione Emo Vere

Tutti gli eventuali introiti derivanti dal libro verranno versati a favore dell'associazione Emo Vere, fondata da Paola Morniroli Sulmoni, psicoterapeuta e impegnata a favore dei bambini e dei loro cari che si trovano a dover affrontare un momento difficile della loro vita. Sono stati stampati due volumi: Leon (disponibile gratuitamente richiedendolo a www.psicoterapiamorniroli.ch), rivolto alle famiglie con bambini affetti da tumori, e Ranocchio Scarabocchio che ha lo scopo di sensibilizzare i bambini delle elementari al tema del bullismo.

Fulvio Sulmoni, con Giona Morinini e il giornalista Giancarlo Dionisio, presenterà il suo lavoro mercoledì 7 e venerdì 9 ottobre alla sala Aragonite di Manno. L'inizio è fissato per le 20.30 e i posti a disposizione sono 70 (regole Covid). Gli interessati possono prenotarsi per mail a presentazionelibrosulmoni@gmail.com. Martedì 29 settembre il libro verrà presentato alla scuola per sportivi d'élite (Spse) di Tenero (appuntamento riservato agli studenti della scuola).

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