Calcio

Storia da tramandare

Il Lugano festeggia i 110 anni di vita. Edo Carrasco... ‘Vorrei tornare bambino, riassaporare l’odore dello spogliatoio e dell’erba appena tagliata'

Keystone
28 luglio 2018
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Era il 28 luglio 1908 quando, sotto la presidenza di Ernesto Corsini, nacque il Football Club Lugano. La prima partita risale al 13 settembre, quando contro il Chiasso (6-0) venne inaugurato lo storico terreno del Campo Marzio. Domani, in occasione dell’arrivo a Cornaredo dei campioni svizzeri dello Young Boys, la società dell’attuale presidente Angelo Renzetti festeggerà i 110 anni di esistenza. Centodieci anni di vita densi di soddisfazioni (tre titoli nazionali, tre Coppe svizzere), ma anche di clamorose delusioni (il fallimento del 2003). Ne abbiamo parlato con Edo Carrasco, rappresentante di quella generazione d’oro uscita dal settore giovanile bianconero, che un quarto di secolo fa portò nella bacheca della società l’ultimo trofeo, la Coppa svizzera del 1993... «Quando sei bambino non te ne rendi conto e sogni soltanto di crescere e di diventare adulto. Oggi che sono un ex calciatore vorrei tanto tornare indietro. Credo sia il desiderio di ogni giocatore rivivere quei momenti. In 110 anni ci sono stati tantissimi calciatori che hanno avuto l’opportunità di calcare l’erba di Cornaredo o del Campo Marzio e che in questi giorni vivono una grande emozione. Io ho iniziato a sette anni e mezzo proprio sul centrale di Cornaredo e mi ricordo il mio avversario, Alessandro Minelli, alto 20 centimetri più di me. Fino a 24 anni, quando ho lasciato il Ticino per ragioni di studio, sono rimasto a Lugano. Ci sono ritornato 13 anni fa e adesso c’è mio figlio che gioca. È una storia di famiglia, un grande ricordo, tante emozioni, tanti odori da quelli degli spogliatoi a quelli dell’erba tagliata di fresco. È un luogo molto familiare che rappresenta un pezzo importante di storia del Ticino calcistico». Da quando Carrasco calcava l’erba di Cornaredo, il calcio è cambiato in modo drastico. Negli ultimi decenni si è persa l’identità storica di tante squadre, Lugano compreso... «Il grosso problema portato dal cambiamento storico che ha condotto alla creazione dei raggruppamenti e del Team Ticino non sta nella qualità del lavoro. Quello che si è perso è l’identità dell’appartenenza al club, in Ticino molto radicata. Ci possiamo raccontare quel che vogliamo, ma Lugano e Ambrì non saranno mai la stessa cosa, così come Lugano e Bellinzona. Il senso d’appartenenza si è perso perché è cambiata la struttura della società. Ai tempi gli allenatori erano spesso ex docenti che investivano il loro tempo nella loro passione. Noi a Lugano avevamo la fortuna di avere un grande formatore come Bruno Quadri, il quale, già con Duvillard, aveva imposto una regola poi diventata la norma: trovare ogni anno due ragazzi del settore giovanile da inserire nella rosa della prima squadra. Un lavoro che aveva permesso di costruire quel gruppo di giocatori con i quali ho avuto la possibilità di giocare, gruppo sostenuto da una serie di calciatori di talento internazionale quali Galvao, Gorter, Subiat, Jensen...». La generazione di Carrasco manteneva una memoria storica legata al passato della società, conosceva le gesta di Luttrop, Brenna o Prosperi. Al giorno d’oggi i ragazzi del settore giovanile difficilmente conoscono Colombo, Pelosi, Penzavalli, ma anche Gorter, Jensen o Galvao... «Il problema è che la sentenza Bosman ha cambiato le dinamiche nel calcio in tutto il mondo. Oggi le squadre italiane spesso non hanno nemmeno un italiano in campo. Questo cambiamento storico ha trasformato il calciatore in mero oggetto di mercato, per scambi che sono spesso molto più redditizi rispetto a un lavoro in profondità nel settore della formazione. Non è colpa di nessuno in particolare, ma è vero che sempre più vengono portati giocatori da fuori a scapito della formazione dei giovani del luogo. In proiezione futura credo che l’ideale sarebbe un mix, sull’esempio di quanto fatto negli scorsi anni dal Basilea o, in campo europeo, da Lipsia, Salisburgo e Atalanta, tanto per citarne alcune. La nostra realtà potrebbe essere – e me lo auguro – quella di un mix tra giocatori che rappresentano un investimento, anche economico, interessante per il futuro, e di ragazzi provenienti dal settore giovanile che aiutino a mantenere l’identità della società. Penso che pure i ragazzi di Bellinzona, Locarno o Chiasso, da sempre realtà importanti nel contesto giovanile, non si riconoscano piu nelle rispettive società. E questo è un dato di fatto sul quale riflettere molto bene. Perché l’“identità Ticino”, se fosse promossa anche dagli enti esterni e sostenuta da politici e tifosi potrebbe essere interessante, ma in realtà non ci crede nessuno. Perché – e lo dico senza connotazioni negative – il luganese è luganese e il bellinzonese è bellinzonese». La generazione di Edo Carrasco, quella della Coppa Svizzera e della vittoria sull’Inter in Coppa Uefa è stata l’ultima nidiata importante del settore giovanile. Occorre tornare a scommettere sulla formazione perché in un futuro a medio termine possa essere ricostruita anche l’identità storica della società. Un discorso che vale per il Lugano, ma a maggior ragione per società più importanti nel blasone e nel portafoglio... «A Lugano c’è l’ambizione di andare proprio in questa direzione. Stiamo lavorando con i dirigenti della prima squadra – perché i primi a crederci devono essere loro – affinché nel giro di una decina d’anni possano esserci 7-8 giocatori formati nel settore giovanile. Lo possiamo fare perché abbiamo un investitore che crede in questo progetto, che vive la città come fosse casa sua e che ci vuole rimanere a lungo. L’idea è di ripercorrere la strada dell’Hockey Club Lugano. Storicamente l’identità ticinese dell’Ambrì era molto più forte, ma il lavoro svolto da Marco Werder e dalla famiglia Mantegazza per formare giocatori ticinesi e giungere a investire con più raziocinio ha permesso di costruire una squadra con un forte senso di appartenenza territoriale. Vado a vedere le partite alla Resega e scopro tifosi che si immedesimano e identificano nella squadra, nei giocatori, anche in caso di sconfitta. Per noi ­l’hockey rappresenta un esempio da seguire. A Cornaredo abbiamo la fortuna di avere alcuni giocatori, un nome su tutti quello di Sabbatini, che si sono integrati benissimo nella realtà locale. Adesso ci sono Bottani e Sulmoni che rappresentano l’identità luganese, ma se si vuole che la città e i tifosi si avvicinino alla società occorre attuare una politica che a piccoli passi porti in prima squadra il maggior numero possibile di ragazzi formati in casa». Domenica Edo Carrasco sarà a Cornaredo e come lui tanti altri ex calciatori... «Voglio sottolineare la presenza di Mauro Galvao, una persona straordinaria. Per me, piccolo ticinese, è stata una fortuna avere un maestro dello spessore di Mauro, sia a livello sportivo, sia dal profilo umano».

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