Calcio

Asso o brocco, decide la testa

Abbiamo chiesto allo psicologo dello sport Giona Morinini di aiutarci a leggere il momento no di David Da Costa

ti-press/putzu
6 marzo 2018
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David Da Costa e i suoi errori. È il tema caldo in casa Lugano, che domenica con l’Yb si è visto condizionare l’ennesima partita da un’indecisione (leggasi papera) del suo numero uno, che perlomeno per le prossime partite dovrebbe diventare numero due. Tami e soprattutto Renzetti in questo senso sono stati chiari, non usando proprio parole al miele (eufemismo) per l’estremo difensore svizzero di origine portoghese, che dal canto suo appare ormai chiaramente sfiduciato. In campo e fuori, negli atteggiamenti e nel linguaggio del corpo – per quel che riguarda le interviste, la società ha deciso di non concederne –. Ma cosa sta succedendo nella testa del 31enne? Per aiutarlo è giusto dargli un po’ di pausa o sarebbe meglio continuare a farlo giocare? Abbiamo posto questa e altre domande allo psicologo ticinese Giona Morinini.

«Premetto che so cosa sta capitando al Lugano, e in particolare a Da Costa, seguendolo da fuori e senza conoscere da vicino il caso specifico – afferma l’esperto proprio in psicologia dello sport –. Di certo non sta attraversando un momento facile e questo influisce sulle sue prestazioni. C’è chi ritiene avvenga in percentuale maggiore, chi minore, ma quel che è certo è che la testa incide sul rendimento. Diversi studi dimostrano infatti che a parità di qualità tecniche, la differenza la fa proprio l’aspetto mentale e la fiducia in se stessi, quanto uno si sente capace nel fare le cose. In termine tecnico si parla di autoefficacia, che incide molto sulle performance e si può riconoscere in diversi aspetti. In primis attraverso il dialogo interno, ovvero la maniera che l’atleta ha di parlarsi prima e durante le prestazioni. Se l’attenzione è messa sui dubbi, sulle carenze e sulle critiche oppure sulle competenze, sulle risorse e sugli obiettivi da raggiungere. Un altro aspetto è quello del linguaggio del corpo, quindi quanto io attraverso l’espressione del corpo dimostro fiducia, voglia e determinazione piuttosto che sconforto, demotivazione, insicurezza eccetera. Tutto questo ha un grande impatto sulla propria riuscita e anche sulla relazione con i compagni».

Come dire che la testa, può anche trasformare un campione in un “brocco”... «Uno può essere capace di grandi cose, ma per colpa di un blocco mentale non riuscire più a ripeterle e addirittura non essere più in grado di eseguire nemmeno le cose più semplici. Questo però è abbastanza normale e apprezzo anche chi cerca di relativizzare simili situazioni».

Come detto però sembra che a Lugano la pazienza per farlo sia ormai finita... «Tra le qualità di un campione ci deve essere anche quella di fare astrazione da ciò che ti succede attorno. A prescindere da tutto, critiche comprese, devo rimanere performante durante la partita. È vero però che il fatto che tutti ne parlano sicuramente non aiuta e in particolare le critiche possono fare male, specie se arrivano da chi ti è più vicino. In ogni caso penso che certe dichiarazioni, soprattutto se pronunciate da un allenatore come Pier Tami, siano strategiche, nel senso che vogliono provocare in Da Costa una reazione e fargli capire che da lui ci si aspetta un certo tipo di risultato. In fondo l’allenatore è una delle persone che conoscono meglio i giocatori».

Giusto quindi dargli una pausa o sarebbe più corretto continuare a schierarlo? «Non esiste una soluzione generale, ma la cosa importante è che il portiere che va in campo sia sereno. All’andata per alcune partite (tre a novembre, precedute a ottobre dall’esordio in Coppa Svizzera, ndr) era stato schierato il numero due (Joël Kiassumbua, ndr) e credo che era stata presa questa decisione perché in quel momento lui era più sereno di Da Costa. Ed è questo il lavoro da fare ora, aiutarlo a ritrovare serenità e fiducia».

Un processo nel quale saranno molto importanti anche gli altri giocatori... «Il bello di ogni gioco di squadra è che i compagni hanno grande impatto su ogni giocatore e quindi in questi casi il sostegno degli altri può essere fondamentale. Un gruppo solido si basa sulla fiducia reciproca e non possono certo essere degli errori tecnici a sgretolarla. Se invece fosse un gruppo debole e fragile, questa potrebbe essere una crepa che fa saltare tutto, ma non mi sembra il caso, questo Lugano ha già dimostrato di avere proprio nel gruppo una sua forza».

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