ATLETICA

Ajla e le lacrime di chi sa d'avercela fatta. 'Non riuscivo a smettere'

La ticinese, terza sprinter più veloce del pianeta in questo 2020, domani sarà attesa protagonista a Berna, grazie all'11''08 di Bulle. 'Mi ci devo abituare'

Keystone
23 luglio 2020
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Per quanto si sforzi, quelle lacrime non riesce proprio a trattenerle. Mentre il cronometro sputa quell’11''10 che è il tempo impiegato da Ajla Del Ponte per divorare il rettilineo del Meeting della Gruyère. Cifre che la dicono lunga sui numeri della ticinese, che in un indimenticabile undici luglio, quattro giorni prima del suo ventiquattresimo compleanno, riuscirà pure a limare ulteriori due centesimi nella sua seconda corsa, diventando nientemeno che la terza ragazza più veloce dell’anno nei cento metri a livello mondiale, pur in una stagione stravolta dal virus. «E dire che non è neppure stata una corsa perfetta» racconta Ajla al suo arrivo a Berna, dove domani torna in pista nell’edizione 2020 del Citius, il primo grosso meeting su suolo elvetico in questa stagione azzoppata dalla pandemia. «Io so soltanto che quei cento metri sono volati, e quando ho visto il cronometro, beh... È come se mi fossi resa conto in quel preciso istante che ne fosse valsa la pena di aver fatto tutti quei sacrifici per arrivare fin lì. Così, l’unica reazione possibile era mettersi a piangere. E diciamo pure – ride – che dopo l’11''10 il vero obiettivo della giornata è stato fermare le lacrime, siccome non riuscivo a smettere».

È il pianto di chi sa di avercela fatta. Oltretutto, piombando nell’olimpo dei cento più veloci dell’anno, alle spalle soltanto della dirompente giamaicana Shelly Ann Fraser-Pryce (11''00) e della ventenne americana Sha’Carri Richardson (11''05, ma già un personale di 10''75). «Diciamo che faccio fatica a rendermene conto - spiega -. Però grazie a quel tempo ho ottenuto la conferma per Montecarlo (14 agosto, ndr) e Stoccolma (il 23, ndr) in Diamond League, ed è un qualcosa di emozionante per chi, come me, s’era abituata a guardare le grandi stelle nei pre-meeting».

Adesso, infatti, sei entrata in una nuova dimensione. «Soprattutto ho provato tanto, tanto sollievo, dopo aver messo tanta pressione su me stessa, per non essere riuscita a raggiungere il personale nella scorsa stagione, né avere centrato l’obiettivo del limite olimpico. Cosa che, tra l’altro, il risultato di Bulle mi avrebbe garantito, se solo il periodo di qualificazione non fosse stato congelato a causa del Covid».

In un’intervista di qualche giorno fa, Laurent Meuwly, tecnico friborghese che ti allena ormai dal 2015, aveva detto che nella Gruyère avresti anche potuto frantumare il muro degli undici secondi... «Diciamo che la mia prima preoccupazione dopo l’11''10 nelle eliminatorie era di confermare quel tempo: volevo evitare di chiudere con un 11''30, per dimostrare di poter correre velocemente due volte nello stesso giorno. E dopo aver applicato le correzioni che mi sono state date tra le due corse, aiutata pure dal minor vento sono andata ancora più veloce. Ed ero fiera di me stessa, di questa – diciamo – nuova maturità».

Tuttavia, sempre secondo il tuo allenatore in finale a Bulle ti sei dimostrata fin troppo aggressiva. «La verità è che ho capito subito di essere partita meglio, e ciò mi ha portata a perdere un po’ la scioltezza che avevo nella seconda parte della prima corsa. Sono una che si basa molto sulle partenze, e tutta la mia corsa di ciò può risentirne come beneficiarne: nell’occasione, in sostanza sono andata più a ‘martellare’ con la frequenza, forzando un po’ troppo. Ed è questo che Laurent mi ha rimproverato. Perché è vero che i primi dieci metri possono essere decisivi, ma ne rimangono pur sempre altri novanta».

Come si vive, quando ci si rende conto di essere sulla bocca di tutti? «Per me è qualcosa di strano. Io che generalmente sono una persona discreta, mi ritrovo ad avere così tante attenzioni, così tante richieste... Banalmente, dopo la performance al meeting di Bulle il numero di ‘follower’ su Instagram praticamente è esploso. Mi fa enormemente piacere, ma è anche vero che dovrò un po’ aggiustarmi, per così dire, abituandomi a questa nuova situazione. Al fatto che adesso c’è più gente interessata a seguirmi, a vedere cosa sto facendo». 

Se dovessi riassumere in una parola cosa ti ha permesso di arrivare fin qui, quale sarebbe? «Perseveranza, direi. È stata quella a portarmi dove sono. Oltre alla voglia di fare, e al desiderio di non dover più essere nella condizione di dirsi scontenti di sé stessi». 

‘Se ci riesci una volta lo puoi fare ancora’

La pressione, invece? Come si fa a conviverci? «In verità, il fatto che ci fossero persone che mi seguivano non è mai stato motivo di pressione. Se dovessi usare una metafora, direi che mi sono sempre sentita come qualcuno che ospitava sulla barca delle persone con cui fare un viaggio assieme. Del resto (ride, ndr) credo che le mie di aspettative siano ampiamente sufficienti».

C’è tuttavia un problema, data la situazione: cioè che quell’11''08 serve più come conferma che come risultato, almeno in ottica olimpica, siccome la finestra qualificativa per i Giochi di Tokyo dell’anno prossimo, semmai si faranno, è bloccata fino a dicembre. «Sì, certo. Io, come molti altri, del resto, non ho apprezzato la decisione di congelare le qualificazioni. Al tempo stesso, però, la capisco: è giusto così se si vuol mantenere uno sport pulito, siccome durante una pandemia non si possono effettuare controlli sugli atleti con la stessa frequenza e qualità. In ogni caso, per me quest’anno era importante riuscire a scendere sotto il limite richiesto (di 11''15, ndr) a prescindere dal biglietto per Tokyo. E quando sai di esserci riuscito una volta, sai di poterlo fare ancora».

Quanto alla soglia psicologica degli undici secondi, da una parte Meuwly ha detto di sentirsi sollevato dal fatto che tu non l’abbia superata già l’11 luglio a Bulle: infatti, per lui sarebbe stato un balzo un po’ troppo grosso rispetto al tuo vecchio personale di 11''21. «Infatti ci sono atleti che dopo un salto del genere si sono trovati confrontati con una specie di blocco. Senza contare, poi, che anche le condizioni del momento hanno il loro peso: ad esempio quando ho corso in 11''08 il vento era di +0,7 metri al secondo, ma trovo che abbia più valore quel crono rispetto, ad esempio, a un 10''99 con due metri di vento a favore. Anche se, naturalmente, spero di riuscire a scendere sotto gli 11'', un giorno».

Magari già domani sera al Wankdorf. Dove, in assenza di Mujinga Kambundji, l’unica atleta rossocrociata di punta ad aver declinato l’invito, sarai tu la protagonista più attesa. «Per prima cosa sono felice di essere tornata a Papendal (dove lavora Laurent Meuwly, ndr) dopo il meeting nella Gruyère, perché così ho potuto tornare ad allenarmi. Ciò di cui sentivo il bisogno, avendo inanellato una gara dopo l’altra. Adesso, però, ho voglia di tornare in pista. Ed è vero, la settimana scorsa avevo corso un 200, ma si trattava semplicemente di una corsa inserita in apertura del mio programma d’allenamento. Domani, invece, si farà sul serio, con la mentalità giusta. Sono contenta che capiti di nuovo in Svizzera, a Berna, davanti a mio padre e a mio fratello che si sono aggiudicati il posto in tribuna». Grazie a due degli appena 500 biglietti, messi in vendita con la formula del chi primo arriva, meglio alloggia. In tempi di Covid è così che stanno le cose.

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