CALCIO

'Non potevo restare in Ticino, in Svezia mi aiuta la famiglia'

Alexander Gerndt, attaccante del Fc Lugano ha fatto rientro a casa: 'Il nostro governo afferma di avere tutto sotto controllo, io non ne sono convinto'

8 aprile 2020
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«Per noi stranieri che giocavamo all’estero, c’era solo un’alternativa, rientrare il più presto possibile in patria, a casa nostra, dove eventualmente, in caso di bisogno, un aiuto ci poteva essere ( famigliari ed amici). In Svezia ho la fortuna di avere i miei genitori, questi potevano garantire una sicurezza fondamentale per mia moglie, le mie due figlie e il sottoscritto, per poter affrontare questo momento difficile». Queste le prime parole di Alexander  Gerndt, il 33enne attaccante svedese, in forza al Fc Lugano, da noi contattato telefonicamente, da 10 giorni rientrato in patria.

«Con mia moglie Frida abbiamo deciso, come poi stanno facendo tutti i miei compagni che non sono ticinesi, di non rimanere a Lugano. Troppi punti interrogativi, molte incertezze. La parola d’ordine era di rimanere a casa. In Svizzera non abbiamo nessun parente al quale appoggiarci, se fosse successo qualcosa a me o a mia moglie sarebbe stata una catastrofe. Abbiamo così deciso di partire. Chiaro, le condizioni di viaggio non erano ottimali, ma siamo arrivati sani e salvi a casa mia. In un primo tempo pensavamo di intraprendere la trasferta in macchina, ma in Germania, alla frontiera, non ci avrebbero lasciato passare. Per fortuna giornalmente c’è ancora un volo per Stoccolma che parte da Zurigo. Arrivati in Svezia , abbiamo proseguito dapprima con la macchina e infine con un traghetto che ci ha portati a casa mia, a Visby, la città più grande sull’isola di Gotland. Qui abitano i miei genitori, dai quali stiamo alloggiando».

'Rimarrò qui fino a situazione normalizzata'

Da quanto si legge e si sente, la situazione in Svezia, per quanto concerne il coronavirus, ad oggi è differente dal resto dell’Europa. Alcune restrizioni ci sono, ma la vita continua come prima. «Posso raccontarti quello che ho visto fino ad oggi. Noi qui a Visby si continua a vivere abbastanza regolarmente, i miei genitori lavorano normalmente, chiaro che ci sono alcune restrizioni e si fa molta attenzione per non essere contagiati, ma posso allenarmi in maniera tutto sommato normale, meglio che a Lugano, dove non si poteva uscire. Chiaro non so ancora per quanto, perché i casi di Covid-19 stanno aumentando molto velocemente. Il governo dice di avere la situazione sotto controllo, io non sono molto convinto, ma vedremo. In tutti casi, resterò qui in Svezia finchè la situazione si sarà normalizzata. L’importante è non farsi prendere dal panico, rimanere tranquilli e fiduciosi. Lo so non è facile, ma è fondamentale per affrontare tempi difficili».

I tuoi contatti con la tua squadra... «Chiaro, mi sento con alcuni compagni e soprattutto con Mattia “Crus” Croci-Torti, lui è il nostro punto di riferimento. Mi tiene al corrente sulle eventuali novità, mi spiega sulla situazione che avete in Ticino e in Svizzera. Ovviamente ci troviamo tutti in una situazione molto difficile, bisogna accettarla. Un problema che unisce tutto il mondo. Ci sono paesi che sono stati toccati maggiormente, se guardo all’Italia o alla Spagna. Mi fa molto male pensare al grosso problema ospedaliero che sta colpendo moltissime nazioni. Rimane anche il fatto della completa incertezza che regna dappertutto. Il futuro è pieno di punti interrogativi».

Anche per uno sportivo, in questo caso parliamo di un navigato calciatore professionista, la situazione attuale porta a delle riflessioni, a pensieri diversi sulla vita avuta fino all’altro ieri, nella quale l’obiettivo principale era di allenarsi, giocare, vincere, primeggiare. Il giocatore bianconero analizza questo periodo: «In questi giorni abbiamo molto tempo anche per guardarsi dentro e analizzare la nostra vita. Chiaro, il calcio è bello; è la professione che io ho scelto e sono contento di poterla praticare, ma adesso ci rendiamo conto come molte altre cose, che forse abbiamo trascurato e dimenticato, sono essenziali e fondamentali, sicuramente più importanti del calcio. Lo sport che pratichiamo alla fine è un gioco, può essere visto come un “bonus”, niente in confronto con ciò che oggi viene fatto negli ospedali, da medici, infermieri, ausiliari, poi la polizia, l’esercito, la protezione civile e tutti quelli che aiutano in modo volontario. Stanno facendo un lavoro incredibile, a loro  va tutta la nostra riconoscenza».

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