STORIA DI UN PILOTA

Riccardo Chiesa, campione vero

La storia del 22enne pilota momò, passato in pochi mesi dalla realtà virtuale al trionfo in pista. ‘Non me lo sarei mai immaginato’.

Dal joystick al volante
7 novembre 2019
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La sua passione sboccia su un divano. Quello su cui da piccolo, esattamente come molti bambini, ha imparato ad amare le corse in tivù. Ma a differenza di tanti altri ragazzini, Riccardo Chiesa quella passione l’ha poi coltivata. Inizialmente con un joystick in mano, davanti a quello stesso televisore. Poi con un volante. Di un simulatore prima, e di un’auto vera poi. «Quando, nel mese di aprile, ho preso parte alla mia primissima gara, nel campionato italiano gran turismo, la mia esperienza in circuito era sì e no di duecento chilometri. Tutti in solitaria, oltretutto con auto diverse» esordisce il ventiduenne pilota momò, che ha appena concluso la sua prima stagione da pilota vero, al volante di una Porsche 718 Cayman Gt4 dell’Autorlando Sport, scuderia per cui corre anche un altro pilota di casa nostra, il luganese Joël Camathias. Riccardo Chiesa s’è fatto da solo, rubacchiando il mestiere sul web. E ha studiato per capire come disegnare traiettorie perfette per sfruttare appieno potenza e tenuta di una vettura, ma soprattutto per alimentare il sogno di riuscire, un giorno, a sfondare in pista. Quella vera. «E bisogna ammettere – spiega il pilota di Morbio Inferiore – che lo sviluppo tecnologico di questi ultimi anni ha permesso alla realtà virtuale di avvicinare, e molto, la realtà. Non per nulla, le abilità che ho potuto sviluppare al simulatore si sono poi rivelate fondamentali in pista. Ed è vero che dal vivo è un altro paio di maniche, ma è grazie a ciò che hai appreso nelle simulazioni che sai benissimo dove mettere mano e come comportarti». Un videogioco, però, resta un videogioco. O no? «No. Nel senso che, dal punto di vista del suo comportamento, la vettura restituisce feedback veritieri al cento per cento. Poi, è naturale, il simulatore professionale che si impiega per preparare il weekend di gara, con gli assetti che si intendono utilizzare in corsa, fornisce risposte più accurate rispetto alla Playstation. Resta il fatto che i videogiochi oggigiorno si basano proprio su quel tipo di macchine. Manca invece, e naturalmente, la percezione della velocità, dell’essere ruota a ruota con un avversario oppure di frenare a dieci metri da chi ti sta davanti».

In altre parole manca l’emozione della paura. «È così. Nel simulatore si corre il rischio di perdere la percezione del pericolo, specialmente in circuiti con curve ad alta velocità, tipo al Mugello, dove la ghiaia si trova lì, subito fuori dalla pista. E quando ti trovi in determinate condizioni capisci che corri il rischio di perdere il controllo».

Ti è successo? «L’unico momento in cui ho rischiato davvero, ripensandoci, è stato nell’ultima prova sprint, a Monza. Su una pista in cui c’erano alcuni tratti bagnati, ma in cui comunque tutti eravamo partiti montando pneumatici ‘slick’. Ricordo che poco dopo il via mi sono trovato appaiato ad altri due avversari della mia stessa categoria e sono stato costretto a frenare sul lato del tracciato non ancora asciutto. Ho pensato subito ‘qui non mi fermo più’, e mi sono accorto che stavo spingendo con tutta la forza sul pedale del freno, ma la macchina non voleva saperne di fermarsi. Il punto è che quando realizzi, è troppo tardi». Proprio a Monza, ma nella prova di endurance del 7 aprile scorso, è ufficialmente decollata la tua carriera di pilota. «Già, quella è stata la mia prima gara in assoluto, e in più ho dovuto correrla sul bagnato... Alla fine, però, è pure andata bene, in un weekend in cui ho vissuto cinquantamila emozioni. Dei momenti che non scorderò mai».

Se quel giorno ti avessero detto che a fine stagione avresti chiuso al primo posto della categoria Gt4 il campionato italiano endurance? «Mai e poi mai sarei riuscito a immaginarmi di arrivare a tanto. Naturalmente serve anche un po’ di fortuna, e di sicuro avere nell’equipaggio dei professionisti come Ghezzi, Babini o Roberti ha fatto la differenza: senza di loro l’avrei vista molto dura (ride, ndr). Forse, però, ancor più inaspettata è stata la mia ‘pole’ a Vallelunga, con il miglior tempo di tutta la categoria. E dire che io in questa stagione partivo semplicemente per accumulare esperienza e macinare chilometri...».

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