Unihockey

Difettoso, ma grande così

Il cuore di Simona Teggi l’ha costretta a lasciare il suo primo amore, l’hockey su ghiaccio, ma lei è ripartita dal ‘fratello minore’

Simona Teggi (Ti-Press/Golay)
12 gennaio 2019
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Avrebbe potuto odiarlo l’unihockey Simona Teggi. Vederlo come una sorta di ruota di scorta, una seconda scelta rispetto alla prima, l’hockey su ghiaccio, passione che l’ha portata a vestire per cinque stagioni la maglia delle Ladies dell’Hc Lugano prima che i risultati di un esame medico la costringessero a togliersi i pattini e a cambiare vita. Avrebbe potuto, ma non lo ha fatto e proprio (anche) grazie al suo nuovo sport ha trovato la forza di reagire.

«Quando aspettavo i risultati degli esami non ero felice, sentivo che qualcosa non quadrava – racconta la 26enne di Novaggio, ormai da quattro stagioni uno dei pilastri della prima squadra della Sportiva Unihockey Mendrisiotto, compagine al comando della Lnb e in semifinale di Coppa Svizzera –. Però mentre parlavo con il cardiologo, che mi stava per dare la brutta notizia, lui è dovuto uscire d’urgenza e una volta tornato, mi ha detto che una signora era morta. Un episodio che mi ha colpito e mi ha fatto riflettere, tanto che quando poi mi ha comunicato che mi avevano riscontrato un difetto cardiaco, la sindrome del Qt lungo di tipo 1 (patologia su base genetica caratterizzata da un elevato rischio di aritmie che possono provocare sincope e arresto cardiaco, ndr) e mi ha sconsigliato di continuare a giocare a hockey a quei livelli, non ho praticamente battuto ciglio. Mio padre ad esempio l’ha presa peggio, ha pianto per me, ma io ho pensato: “Ok, devo smettere di praticare uno sport che mi piace, ma una signora ha appena smesso di vivere”».

Dopo un annetto di pausa, Simona aveva però già nuovamente un bastone in mano... «Sono arrivata alla Sum seguendo una canadese che giocava con me ma costretta a sua volta a lasciare per problemi fisici. Non nego che l’unihockey sia a sua volta molto intenso, ma in maniera diversa, meno fisica. Tanto che inizialmente ho fatto una fatica pazzesca ad adattarmi, perché le bastonate e i contatti non sono praticamente tollerati, il gioco è molto spezzettato e per me è stato frustrante. Anche perché pure a livello di emozioni i primi anni mi mancava qualcosa, non mi sentivo davvero coinvolta. Ad esempio quando siamo salite in B (2016, ndr) tutte erano emozionatissime, ma io non più di tanto, non riuscivo a lasciarmi andare. Poi piano piano, anche grazie all’aiuto delle compagne, mi sono adeguata, ho preso il ritmo e sono tornata ad appassionarmi. E con i bei risultati che stiamo ottenendo in campionato e in Coppa, ho ritrovato le belle sensazioni che provavo quando giocavo a hockey».

E questo nonostante in campo scenda giocoforza un po’ meno spensierata di una volta... «Ammetto che quando gioco un po’ ci penso, non ho la mente proprio libera e il fatto che prenda ogni giorno dei betabloccanti inevitabilmente mi condiziona, perché ad esempio quando compio uno scatto la benzina finisce prima rispetto agli altri. Però ho imparato a conviverci, ascolto i medici e li ringrazio, ma senza sport non posso vivere».

L’unihockey non le ha però dato un appiglio unicamente in ambito sportivo... «Negli anni in cui giocavo nell’Hcl ho frequentato la Scuola per sportivi d’élite di Tenero, conclusa proprio quando mi è stato trovato il problema al cuore. Poi ho avuto la fortuna che il mio primo allenatore alla Sum, Matteo Rota, oltre a darmi da subito molta fiducia all’interno della squadra mi ha aiutato in ambito lavorativo (assieme a Christian Crivelli, tuttora membro di comitato), tanto che è ancora il mio capo presso la ditta Neolab (azienda di riferimento nella fornitura di prodotti a strutture socio-sanitarie e mezzi ausiliari per l’indipendenza a domicilio, nonché uno degli sponsor principali della società momò, ndr). Se non fossi arrivata alla Sum, probabilmente adesso non lavorerei lì, dove mi trovo molto bene, per cui direi che l’unihockey mi ha davvero rivoluzionato la vita».

‘Travolte dall’euforia, ma ora siamo cariche e concentrate’

 Oggi Simona, le sue compagne e tutta la società momò vivranno una giornata speciale visto che alla palestra del Liceo di Mendrisio giocheranno una storica semifinale di Coppa Svizzera contro le Piranha Coira (ore 17.45), formazione che da anni domina la scena rossocrociata.         

«Sono tutti molto carichi per questa partita e a ragione, visto che affronteremo la squadra più forte del nostro Paese in una semifinale di Coppa Svizzera e per molte questo rappresenta l’apice raggiunto finora a livello sportivo – le parole della top scorer ticinese –. Inizialmente c’è stata un’euforia quasi incontenibile, poi con il grande aiuto dei nostri allenatori (Amos Coppe e il vice Michel Betrisey, ndr) che quest’anno ci stanno dando tantissimo, siamo tornate con i piedi per terra e a lavorare sodo, concentrandoci sui nostri punti forti. Perché contro una compagine così superiore, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di svolgere al meglio il nostro compito. Se ci riusciremo, allora potremo anche avere una chance di far loro uno sgambetto che avrebbe dell’incredibile. In ogni caso non abbiamo nulla da perdere e giocheremo in casa con il sostegno del nostro pubblico, sarà sicuramente una giornata indimenticabile».

Quanto alla sua squadra, la ragazza di Novaggio spiega che «siamo una realtà un po’ particolare perché le giocatrici arrivano un po’ da tutto il Ticino e siamo divise quasi a metà tra Sotto e Sopraceneri. Questo però non è un problema, anzi, nonostante qualche volta ci prendiamo in giro proprio su questo aspetto e qualche diatriba non manchi, l’ambiente in squadra è davvero ottimo, siamo molto unite e questo si vede anche in campo, altrimenti non avremmo ottenuto certi risultati. Significativo in questo senso anche il fatto che, proprio per venire incontro a tutte, ci alleniamo una volta a Losone e l’altra a Mendrisio. E quando andiamo in trasferta il bus parte da Mendrisio e fa tappa a Manno e Castione accontentando un po’ tutte. Sono piccole cose che però alla fine fanno la differenza».

‘Missione impossibile? Abbiamo voglia di sorprendere’

Oggi ne è presidente, ma Davide Rampoldi fa ormai parte dell’inventario della Sum, visto che come ci spiega lui stesso «ho iniziato a giocare e allo stesso tempo sono entrato nel comitato appena è nata la società, nel novembre del 1992. Allora eravamo una ventina di persone, oggi siamo in più di duecento».

Inutile quindi dire che l’attesa per la partita di sabato è quasi spasmodica... «È un appuntamento storico per l’unihockey ticinese, figuriamoci per la nostra società – afferma il numero uno momò (che è pure arbitro di Lega nazionale e che a fine gennaio arbitrerà dei match di qualificazione ai Mondiali), riferendosi al fatto che mai una formazione ticinese aveva raggiunto questo stadio della competizione nell’unihockey moderno –. Un traguardo tanto inaspettato quanto meritato, perché le ragazze hanno compiuto un cammino incredibile, che rispecchia la stagione in crescendo che stanno disputando. Siamo l’unica formazione di Lnb rimasta in lizza e affronteremo la squadra più forte in Svizzera da diversi anni, una corazzata infarcita di nazionali. La missione è praticamente impossibile, ma abbiamo tanta voglia di sorprendere e la squadra, sotto l’ottima guida dello staff tecnico, si è preparata bene. A prescindere poi dal risultato, il sorteggio ci ha permesso fortunatamente di giocare in casa, per cui vogliamo che sia una festa e spero che le nostre ragazze se la godano».

La formazione composta da ragazze ticinesi e tre finlandesi vola anche in campionato, che guida a pari punti con il Regensdorf... «L’obiettivo stagionale è fare meglio dell’anno scorso, quando siamo usciti ai quarti di finale del playoff vincendo una sola partita. Devo però dire che siamo piacevolmente sorpresi da come sta andando la stagione, la squadra gira davvero bene e se dovesse continuare così fino alla fine, la promozione diventerebbe un tema. Giocare in Lna comporterebbe un impegno ancora maggiore sotto tutti gli aspetti, però sarebbe anche stimolante e, per lo spirito della nostra società, non ci precluderemmo di certo la possibilità di spiccare il volo».

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