Mondiali di hockey

Luca Righetti: "Gli scoop solo a mia figlia"

L'addetto stampa del Lugano è ormai un habitué dei Mondiali. Una simpatica chiacchierata condita da qualche aneddoto

13 maggio 2018
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Vi immaginate un capitano di navi da crociera che durante le sue vacanze si fa una crociera? Ecco, le vacanze di Luca Righetti, addetto stampa del Lugano, sono paragonabili a quellle del capitano in mare aperto. Negli ultimi anni il ticinese è praticamente sempre presente ai Mondiali. Insomma, l'hockey è una vera passione per il 48enne e oltre al suo lavoro quotidiano è parte integrante del suo tempo libero. «Ho seguito il primo Mondiale a Stoccolma nel 2013, in seguito sono stato a Minsk, Praga, Parigi e ora eccomi a Copenhagen. Mi rilasso alla rassegna iridata. Non devo pensare ai giornalisti, agli aggiornamenti tramite il nostro profilo di Twitter durante e dopo il match o alle interviste di fine partita. Mi gusto delle belle sfide ad alto livello e inoltre ho l'opportunità di visitare e scoprire delle città interessanti», racconta il ticinese.

Righetti, impiegato al 100% presso la società bianconera ormai dal 2007 (ma già prima collaborava con l'Hcl parallelamente alla sua attività di giurista), durante i Mondiali non ha particolare contatti con i vari giocatori del Lugano presenti. «Onestamente li lascio nel loro brodo e in fin dei conti non sono mai tantissimi. Una curiosità? Nel 2013 a Stoccolma m’incontrai un paio di volte con Fischer, allora assistente allenatore di Simpson. Patrick aveva già firmato il contratto con noi, ma dovevamo sistemare qualche aspetto e discutere le modalità e il contenuto del comunicato stampa».

I comunicati stampa, e già, i tifosi sono sempre smaniosi di poter apprendere un nuovo colpo di mercato e li aspettano con ansia. Non deve essere evidente mantenere il segreto professionale prima di poter pubblicare un eventuale nuovo acquisto. «È vero, la tentazione di dirlo a qualche parente stretto o a qualche amico fidato c’è. E, onestamente, ogni tanto succede di farlo. Per esempio, a volte, se una trattativa è definitivamente conclusa la anticipo a mia figlia. So che lei non mi tradisce. È forse un po’ l’indole dell’essere umano, fare sapere a qualcuno che si sa qualcosa. All’inizio della mia attività professionale in seno al Lugano parecchi amici rispettivamente conoscenti provavano a farmi parlare e a carpirmi qualche scoop, ma con il tempo hanno capito che non c’è trippa per gatti e non sono il tipo che parla».

I comunicati a volte sono purtroppo però anche tristi. Basta pensare a quello recente inerente ai brutti infortuni di Chiesa, Brunner e Bürgler. «Non ero a Davos quella sera, ma ricordo lo stato d’animo a casa guardando la partita in Tv. Ho trascorso parte della serata al telefono con il nostro team manager Mirko Bertoli che faceva la spola tra ospedale e pista di ghiaccio. Si avvertiva quella sensazione di vivere una situazione praticamente unica. Tre infortuni pesanti in una sola sera. Si provava dapprima tanto dispiacere per i giocatori sul piano umano e in un secondo tempo c'erano timori per il possibile impatto negativo sul rendimento della squadra. Paradossalmente poi questa ecatombe ha avuto forse un esito positivo dato che la squadra si è unita ancor di più. Certo che scrivere quel comunicato è stato molto duro e difficile. Una sensazione poco gradevole».

Quando si parla di comunicati entra in gioco ovviamente il direttore sportivo Habisreutinger. «Il nostro rapporto? È molto franco. Lavoriamo assieme da quasi un decennio e a volte ci sono dei momenti di tensione dove entrambi alziamo la voce. Roland non è un carattere facile ed è dotato di una forte personalità, ma ha un grande pregio, è uno che ti dice le cose in faccia. Cerchiamo sempre di spiegarci a vicenda le reciproche posizioni e le ragioni di queste. I nostri motivi di discussione sono perlopiù legate alla gestione delle relazioni con i media. Roland conosce il mio ruolo, sa che io ho da un lato l’obbligo di curare gli interessi del Lugano e dall’altro devo mantenere un buon rapporto con i media a medio-lungo termine. Gli dico sempre che a breve termine ha ragione lui, ma io devo pensare a lunga gittata. Il giornalista XY tornerà domani, tra due giorni, settimana prossima alla Resega e bisogna curare le relazioni con la stampa. Una volta che ci siamo chiariti e abbiamo trovato una soluzione o un compromesso tutto è dimenticato e non ci sono rancori. Credo che ci rispettiamo a vicenda e viviamo dei bei momenti al di fuori dell'hockey, anche perchè Roland è una persona divertente».

Un’altra figura centrale di questo Lugano è l’allenatore Ireland. «Tre aggettivi per descrivere Greg? Coerente, onesto, sensibile».

In questi numerosi anni RIghetti ha visto passare una miriade di giocatori dalla Resega. Quello che ricorda con più piacere? «Il primo nome che mi viene spontaneo è Patrice Bergeron, anche se non si fermò a lungo. Credo sia l'elemento più forte e prestigioso che abbia indossato la nostra maglia nell’ultimo decennio. Poi ci si affeziona evidentemente ai ragazzi di lungo corso. E se proprio devo citarne uno direi Conne. Con Flavien ho discusso anche di aspetti fuori dal mondo hockeistico»

A questi Mondiali si stanno mettendo nuovamente in luce Merzlikins e Hofmann. Per RIghetti prevalgono la gioia e l’orgoglio o la paura di perderli prossimamente? «Direi entrambe le cose. Certo, la paura c’è, ma ragionandoci bene se meritano di andare in Nhl è giusto che ci vadano. Pur se è vero che il mondo dell’hockey, rispetto a quello del calcio ad esempio, non ti dà nulla in cambio e non incassi soldi. Se un giocatore di punta parte ti resta solo la soddisfazione di aver formato un elemento di alto livello e una partenza di questo tipo può veramente condizionare la stagione successiva».

Intanto il ricordo di quella appena finita è ancoro fresco. Il momento più bello ed emozionante per Righetti? «Forse è banale, ma direi la rimonta in gara-3 contro il Bienne, sembravamo spacciati». Questo in attesa di nuove grandi emozioni a partire dal prossimo mese di settembre. 

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