Racconto della settimana

Antò

10 ottobre 2015
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Mentre il treno giungeva alla stazione, il tanto atteso “ding” risuonò tra le dita nervose e tremanti di Antonio. E il segnale acustico era fortunatamente accompagnato dai caratteri giusti, quelli che componevano il nome dell’amato Dino Missi. La bramosia con cui Antonio aprì il messaggio assomigliava a quella di un assetato nel deserto che si avvicina a una pozza d’acqua e tanta fu l’adrenalina che scorse nel suo corpo da lasciarlo leggermente stordito. Purtroppo il suo entusiasmo subì una forte battuta d’arresto. Più volte rilesse le poche parole e più le rileggeva, meno era sicuro di averle capite. Le frasi erano due, semplici e concise, ma al contempo sibilline: “va bene. vedremo dopo che fare”. La prima frase era benigna e rassicurante, un balsamo per il corpo e lo spirito. La seconda, invece, sfuggiva a una precisa interpretazione. Poteva suonare come un invito a partecipare a qualche processo decisionale post riunione oppure poteva anche avere significati più minacciosi e reconditi, legati a possibili provvedimenti disciplinari da prendere nei confronti di un collaboratore ritardatario. Mentre scendeva le scale che dalla stazione portavano in centro, Antonio leggeva e rileggeva. Avrebbe voluto anche dare una risposta, una che suonasse sicura e dinamica, ma non gli veniva in mente nulla. Nel frattempo Jessica ricominciò a scrivergli, ma lui era troppo stressato per risponderle subito e lei, dopo i soliti “bacio bacio”, “dove sei” e “Nio mio quanto ti amo”, prese a incalzarlo con “ma, ci sei?”, “che succede?”, “ci vediamo dopo o no?”. Antonio fu dunque costretto a darle un qualche segno di vita, ma i suoi “sto andando al lavoro”, “ci vediamo a mezzogiorno”, non piacquero granché a Jessica, che non gli rispose più. Purtroppo ad Antonio mancava l’energia necessaria per ribilanciare la situazione a suo favore e a malincuore lasciò perdere. Più tardi le avrebbe comprato un regalo per farsi perdonare i messaggi non sufficientemente appassionati. Ormai non era più molto lontano dall’ufficio, ma ancora non sapeva come si sarebbe mosso una volta arrivato. In contemplazione continua della frase enigmatica, svoltò senza guardare nella solita stradina che il suo corpo conosceva a memoria e venne investito da una bicicletta. L’urto fu violento e il dolore acuto e immediato. Per la seconda volta nella stessa mattinata il cellulare, dopo aver compiuto una lunga ed elegante parabola, finì per terra. Il braccio sinistro di Antonio sanguinava, mentre il destro si trovava in una posizione non del tutto naturale. Con gli occhi lacrimanti, la testa che gli girava e il corpo che non rispondeva molto bene ai comandi, Antonio cominciò subito a cercare il cellulare.

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