Racconto della settimana

L'aragosta blu

4 ottobre 2015
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Dora Bifasi, commissario-capo dei Servizi di Sicurezza della giovane Insubria, riunisce la sua squadra nell’esiguo locale che le è stato attribuito.

“Ecco, abbiamo il burglary di un quadro del Centro Culturale, l’”Aragosta blu” di Emil Riss, una envelope vuota, che potrebbe aver contenuto un proclama di quasi un secolo fa, la tortura e la killing del delegato Gio Trossetti e il sospetto di innominabili “neri”, che potrebbero star dietro a tutto questo, se davvero già nel proclama poteva esserci la denunciation dei loro progetti.”

“Ma, di concreto, nothing: nemmeno la minima traccia!”, la interrompe Zanelli, immusonito come sempre, per convalidare il soprannome di “Maibuondì” che gli è stato affibbiato.

Gobbini, con la sua testa a uovo, che pare generata direttamente dal suo gran pancione, tace con gli occhi socchiusi, come se stesse digerendo un lauto pranzo, quando ormai è impossibile da anni scovare alimenti decenti.

Bignasci sgrana un obsoleto rosario, biascicando sommessamente strane parole in una lingua morta. Inconsueta sopravvivenza di antiche credenze da quando, sommerso dagli scandali finanziari e sessuali delle sue gerarchie, l’ultimo papa ha abdicato e il Vaticano ha sciolto le sue istituzioni, rinunciando a eleggerne il successore. Su questi temi Dora ha concluso da tempo che credere è molto più facile che pensare.

“Un bel grattacapo, for heaven’s sake!”, conclude la Bifasi, stiracchiando nervosa la sua treccia. Ma proprio in quel momento bussa un usciere, che le deposita davanti un foglio il cui solo aspetto la fa di colpo impallidire. Il contenuto poi...

“L’inchiesta di cui lei si occupa, in quanto lesiva di interessi superiori per la sicurezza dell’Amministrazione, deve essere immediatamente interrotta e i protocolli relativi devono essere distrutti senza archiviazione dei dati.”

Decisioni simili non chiudono solo un’inchiesta. Chiudono pure una carriera.

Poche ore dopo, siede su uno dei blocchi di cemento dai quali escono spunzoni arrugginiti, che incorniciano il golfo con le macerie annerite di grandi costruzioni vecchie di un paio di secoli. Alberghi, forse, visto  che la regione aveva prosperato sulle attrazioni turistiche della plaga. Ora, dietro le rovine di quello che doveva esser stato un gradevole lungolago, si distendono nella pianura i cubi grigi delle unità abitative di Città Nuova, dove la popolazione sopravvive in modo altrettanto grigio. Dai quartieri malfamati dei pendii contrapposti scendono di notte i malintegrati per le loro miserevoli razzie, così come nelle vie compiono le loro scorribande migliaia di ratti. Due disgrazie delle quali la peggiore non si sa quale sia.

“Ma proprio non si può sperare in un mondo migliore? Shit! Shit! Shit!”

 

 

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