Impact Journalism

'Un migrante vive a casa nostra'

In canton Vaud 120 migranti sono ospiti in 60 famiglie. In Ticino Adem vive con la famiglia Schoepf

Foto d'archivio (Keystone/Ti-Press)
16 giugno 2018
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«La mia famiglia svizzera è eccezionale. Mi hanno aiutato molto», dice Morad Essa. Il giovane eritreo è stato il primo migrante accolto in una famiglia elvetica. Succedeva a Lully nel 2015. In questo piccolo comune vodese è fiorita la prima esperienza di accoglienza di migranti in famiglia, che oggi ha messo radici in vari cantoni svizzeri. A Vaud negli ultimi due anni 200 migranti ne hanno approfittato: 120 sono ospiti da 60 famiglie vodesi e altri 40 alloggiano in appartamenti e/o case messi a disposizione da una decina di comuni.

Quando Morad è stato ospitato in famiglia non sapeva una parola di francese, il soggiorno doveva durare 6 mesi, ma è rimasto 2 anni. Ora il giovane eritreo parla bene la lingua di Verne, si è integrato e sta cercando un posto di apprendista. Vuole fare il meccanico.

Si è capito che ospitare i rifugiati (adulti o minori) in famiglia accelera la loro integrazione, facilita l’pprendimento della lingua e anche il passaggio ad un lavoro, grazie alla rete sociale di chi li alloggia. Inoltre, costa meno al Cantone e aiuta a ridurre i pregiudizi.

«Inseriamo chi ha maggiori prospettive di restare in Svizzera, come iracheni, siriani, eritrei, afghani. Abbiamo fatto serate di presentazione, oggi troviamo più o meno facilmente, grazie al passaparola, famiglie disposte ad ospitare migranti», spiega Marie-Claire Maillard, responsabile dell’istituto vodese per l’accoglienza di migranti (Evam). Serve una camera ammobiliata per almeno sei mesi vicina ai trasporti pubblici. «È un gesto di solidarietà, molti lo fanno perché sono disarmati davanti all’esodo che vedono alla tivù. Le famiglie possono essere indennizzate, ma c’è chi lo fa gratuitamente o quasi. Viene stipulato un contratto tra il migrante e la famiglia ospitante. Non lo si fa per i soldi. E noi siamo sempre a disposizione per famiglie e migranti », precisa.

 «Adem è diventato come un figlio  per noi»

Nella Svizzera italiana invece si sta testando l’accoglienza di migranti minorenni non accomagnati, uno è affidato ad una famiglia di Lugano. Aveva 13 anni, quando è arrivato al centro di registrazione di Chiasso. Alle spalle lascia in Etiopia sua madre e numerosi fratelli. Alle spalle ha una faticosa odissea fatta di campi profughi, jeep stracolme nel deserto, maltrattamenti e barconi di fortuna. Adem ha attraversato tutto questo a soli 13 anni. Oggi ne ha 15, vive in Ticino con la famiglia Schoepf che ha due figli (di 12 e 14 anni) e da settembre va in terza media a Gravesano.

«L’ho conosciuto nell’autunno del 2016, perché giocava a calcio con mio figlio maggiore. Mi ha colpito per il suo sorriso e perché dopo allenamento e doccia si rimetteva gli stessi indumenti usati in campo. Così ho scoperto che era qui solo e stava al foyer della Croce Rossa di Paradiso per richiedenti l’asilo minorenni», spiega Simona Spinedi Schoepf. Ci racconta come il destino della sua famiglia si è legato a quello di Adem (nome cambiato dalla redazione). C’è stata prima curiosità, poi sintonia, ora affetto: «Adem è come un figlio per noi, lo abbiamo accolto nella nostra famiglia in agosto 2017 perché vogliamo che abbia le chance migliori per farcela in Svizzera. Con noi, può integrarsi più velocemente, va in classe con mio figlio maggiore. Parla bene l’italiano, è immerso quotidianamente nella nostra cultura, mangia il nostro cibo, potrà sfruttare anche la nostra rete sociale. Lui ha un effetto calmante sui nostri due figli. Per loro è un’esperienza di accoglienza straordinaria che sta cambiando la loro visione del mondo. Tutto ciò avrà un impatto sui loro progetti futuri. Adem è un grande regalo», dice la donna.

Dal primo incontro all’affido è passato quasi un anno. «Ha legato subito con mio figlio maggioree ha iniziato a venire a cena da noi, poi durante qualche weekend», racconta. E subito diventa un appuntamento fisso. Ovviamente con l’autorizzazione da parte della direzione del foyer della Croce Rossa.

«Ogni domenica sera era straziante riportarlo al foyer, ci stavamo tutti legando a lui», dice. La psicoterapeuta specializzata in trauma osserva il ragazzo, sa che ha vissuti difficili, ma conclude che l’ambiente della famiglia non riattiva ricordi spiacevoli. Anzi, è un luogo protettivo. Col marito decide di annunciarsi come famiglia affidataria.

La famiglia riceve ad agosto 2017 l’affido di Adem che a settembre inizia la scuola. «La direzione ci è venuta incontro, lasciandolo in classe con nostro figlio. Adem va bene, fa fatica solo in matematica», precisa. Giuridicamente la famiglia non ha l’autorità parentale, ma la custodia di Adem che ha un curatore.

Da grande Adem sogna di fare il medico, tornare in Etiopia e aiutare la sua gente. Di tanto in tanto, fa qualche incubo. «Sogna di venire aggredito. È legato a ciò che ha vissuto scappando. Ha nostalgia della sua famiglia ed è incerto per il suo futuro. Tutto ciò gli causa momenti di tristezza». Chiediamo alla psicoterapeuta se ci vogliono competenze professionali per ospitare questi ragazzi. «Non bisogna essere psicologi per diventare genitori, non sai mai cosa ti aspetta ma impari strada facendo», precisa.

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