Impact Journalism

Il villaggio globale nomade 

(ECOnomad)
25 giugno 2016
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di Ana Otašević, Politika, Serbia

Dai tempi preistorici alla nostra era moderna, vi è una rete immaginaria che collega ogni abitante del pianeta, indipendentemente dalle diversità. È il tetto al di sopra delle loro teste, il luogo che li ripara dal tempo inclemente, che li tiene al caldo, in cui dimorano, temporaneamente o in maniera stabile.

Dalla rivoluzione industriale, decenni di migrazioni dalle campagne alle città hanno creato uno squilibrio economico e peggiorato la crisi ecologica. I centri hanno continuano a crescere, le megalopoli acquisiscono le sembianze di città-stato, mentre al tempo stesso le zone rurali vanno svuotandosi.

La trasformazione che è stata messa in moto dalla globalizzazione sta ora incontrando una resistenza crescente da parte di generazioni che sono cresciute nelle città, consapevoli del fatto che il modello economico dominante è in conflitto con la sostenibilità della vita sulla Terra. Un numero sempre maggiore di giovani cerca un modo diverso di vivere: un modo che implichi un ritorno alla natura e lo sviluppo dell'economia locale. Questa tendenza si può anche riscontrare in Serbia, un paese in cui abbondano gli habitat naturali intatti.

Il progetto ECOnomad è una delle possibili soluzioni. Concepito da un team composto da un giovane architetto belgradese, Ivo Otašević, e del suo partner svizzero, Stascha Bader, il concetto è quello di una dimora adattabile, disegnata per vivere più vicini alla natura. È fatta per essere assemblata ovunque e con caratteristiche differenti.

«L'impatto sull'ambiente naturale è minimo – spiega Bader –. Ciò è possibile grazie al fatto che i materiali da costruzione sono ecologici e biodegradabili, le strutture sono temporanee, ed è presente un sistema di autosostentamento basato su fonti energetiche rinnovabili».

Che cosa nasconde il contenitore 

L'ispirazione viene dall'architettura rurale serba, dalla tradizionale dépandance nota come ‘vajat’. Piccoli capanni in legno senza finestre che si trovano nelle fattorie, oggigiorno le ‘vajat’ si usano per immagazzinare attrezzi e frutta. Ma in passato avevano un uso diverso, più significativo. In un'epoca in cui la gente viveva in collettività rurali e diverse generazioni condividevano lo stesso spazio vitale, la ‘vajat’ era «lo spazio riservato alla vita di una coppia sposata», dove gli sposi passavano la loro prima notte di nozze. 

Nel campo ECOnomad vengono assemblati container residenziali nello stile delle ‘vajat’ serbe. L'esterno è decorato con pannelli accuratamente disposti mentre l'interno è rivestito con legno composito di alta qualità. La lana di pecora offre un isolamento naturale e i materiali per l'arredo e l’organizzazione interna sono pure rispettosi dell'ambiente. 

Ciascun container misura 6 metri per 3 e l'unità completa è facilmente trasportabile su camion o nave, pronta per essere assemblata in una varietà di disposizioni. L'elettricità viene fornita da pannelli solari sui tetti o da un generatore a biodiesel. L'acqua di scarico viene raccolta in speciali cisterne che, quando sono piene, vengono svuotate in siti appositi. 

Un investimento iniziale ridotto, la fabbricazione veloce e la possibilità di usare una varietà di siti rendono questo progetto particolarmente attraente. La portata dell'investimento può facilmente essere dimensionata incrementando o riducendo la capacità di container prodotti, a seconda della richiesta. 

La comunità nomade può essere una delle possibili risposte all'attuale crisi ecologica? Il progetto ECOnomad lo spera e vuole contribuire a disegnare un mondo in cui l'organizzazione di casa e vita sarà più semplice ed equa.

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