Impact Journalism

Cinque religioni, un solo tetto

(Stefan Maurer)
20 giugno 2015
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di Simonetta Caratti, laRegione

Rituali, credenze sulla vita e sull’Aldilà, molto diverse, riescono a convivere: questo è il piccolo grande miracolo che avviene ogni giorno nella Casa delle religioni nella periferia multiculturale di Berna. Mentre in Europa divampa la paura del terrorismo di matrice jihadista, nel cuore della neutrale Svizzera, germoglia un seme di speranza: un luogo di dialogo. Sotto lo stesso tetto convivono 5 santuari: una moschea, un tempio indù, un ‘dergâh’ alevita, un centro buddista e una chiesa (usata da otto comunità diverse, tra cui etiopi e moraviani).

Il nuovo complesso, in vetro e cemento, è sviluppato su due piani, dove sono ripartiti i cinque luoghi di culto (organizzati dalle comunità a loro spese), che si aprono su una zona comune: sale conferenze, una biblioteca e un ristorante.

Dietro a questo ‘miracolo’, ci sono soprattutto tre uomini di fede diversa (un prete moravo, un imam e un rabbino) che oltre dieci anni fa (quando il mondo fu scosso dall’11 settembre e si parlava di scontro tra civiltà) hanno condiviso un sogno: la convivenza pacifica tra le religioni.

Quel seme è germogliato. La strada non è stata facile. Tanto per fare un esempio, la reazione di uno dei primi funzionari bernesi, cui gli ideatori illustrarono l’idea, fu scoraggiante: «Questo progetto è superfluo e destinato a fallire». C’è voluto tempo, tanta volontà e determinazione, ma i risultati sono arrivati.

Superare la paura del diverso conoscendo chi temiamo ma anche trasformare il pregiudizio in tolleranza grazie al dialogo sono alcuni pilastri su cui è stata edificata la Casa delle religioni a Berna. Un lungo percorso, durato dieci anni. «Non salveremo il mondo, non siamo missionari, ma pratichiamo il dialogo, non quello astratto tra religioni, ma quello concreto tra persone di fede diversa, che hanno costruito i loro templi sotto lo stesso tetto e condividono spazi comuni. I problemi non mancano, ci sono stati conflitti, ma abbiamo trovato soluzioni», spiega Gerda Hauck presidente dell’associazione ‘Casa delle religioni - Dialogo delle culture’.

A surriscaldare gli animi possono essere, ad esempio, differenze nei rituali: ciò che è una festosa preghiera per una religione può essere impuro per un altro credo. «Evitiamo che una comunità restringa l’attività degli altri. Ci sono state frizioni, ma abbiamo fissato una regola: si deve discutere e trovare una soluzione in un tempo limitato. E ha sempre funzionato», spiega Hauck.

La conferma viene dal prete indu : «Le nostre preghiere sono festose, dirompenti, musicali, rumorose. Nulla a che vedere con il rito musulmano. Abbiamo avuto frizioni, ma abbiamo imparato a discutere e trovare una soluzione», dice Sasikumar Tharmalingam, 38 anni. Celebra nella Casa delle religioni sei volte al giorno, segue 450 famiglie induiste, soprattutto tamil, devote a Shiva. La divinità troneggia al centro del colorato tempio, che conta 350 statue stuccate da artisti venuti dal Tamil Nadu.

«All’inizio era strano pensare  di vivere sullo stesso pianerottolo, porta a porta, con musulmani o cristiani, ma la formula funziona.  Tra le religioni ci sono punti  di contatto e tutte, in fondo, dicono la stessa cosa: Dio è amore», dice il prete indù.

La gioiosa esplosione di colori del suo tempio stride con la sobrietà del ‘dergâh’ alevita, che sta al piano superiore: una sala color crema, senza immagini, con un tavolo, un braciere, 12 nicchie nel muro che rappresentano altrettanti filosofi.

Elegante ma sobria la moschea edificata su due piani: gli uomini sotto, le donne sopra ; lungo i muri, su una greca a sfondo nero e porpora, ci sono i nomi dei 28 profeti ; un enorme lampadario di cristallo (fatto venire smontato dalla Turchia) troneggi al centro.

«Siamo un modello di convivenza interreligiosa. La diffidenza verso i musulmani c’è soprattutto tra chi non ci conosce. Dunque è importante promuovere la conoscenza di altri culti. I frutti probabilmente li raccoglieranno le prossime generazioni», spiega Mustafa Memeti. L’imam albanese ha la sua visione: « Promoviamo il dialogo, ma non la mescolanza. Ognuno mantiene la propria identità religiosa nei rispettivi luoghi di culto», precisa Memeti. La sua  moschea confina con il centro buddista : un’ampia sala, dove spiccano l’arancione dei tappetini da yoga e l’oro di un soave Buddha, che sembra scrutare ogni singolo respiro. Viene dalla Thailandia, è l’unico simbolo religioso. «Arrivano a visitarci persone che non hanno una fede, ma cercano un modo per vivere meglio. Insegniamo strumenti, come la meditazione, utili contro lo stress, non obblighiamo nessuno a credere in nulla», spiega Marco Genteki Röss, vicepresidente dell’Associazione interculturale buddista di Berna.  «La Casa delle religioni  è un importante laboratorio a livello sociale, per favorire il dialogo e la conoscenza di culture diverse.  Abbiamo fedi e rituali differenti, ognuno ha il suo spazio e la sua specificità, ma possiamo incontrarci e conoscerci negli spazi comuni», conclude.


Per maggiori informazioni: www.haus-der-religionen.ch

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