L'editoriale

Primo di agosto: neologismi e déjà-vu

Scritta che appare sul Muro di Berlino: «Chi vuole che il mondo rimanga come è, non vuole che il mondo rimanga».

31 luglio 2018
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C’è una parola coniata di recente che va di moda nel politichese. Più che una parola è un concetto, un modo di pensare il proprio essere nella comunità: la parola è sovranista. Chissà se qualcuno prenderà al balzo la palla del Primo di agosto per lanciarla anche da noi.

Di per sé la sovranità non è una brutta cosa. Anzi, è meravigliosa, se ad essere sovrano è il popolo e non chi sta sopra e comanda, tenendo magari i cittadini nell’ignoranza e pensando che, in fondo, l’importante è che obbediscano (‘panem et circenses’, lo dicevano già i romani). La democrazia diretta elvetica è sicuramente un bell’esempio di sovranità e sana dialettica. Nella società digitale, però, il popolo può essere influenzato più facilmente anche con una serie di notizie sputate dalla rete e confezionate ad hoc, a seconda di quanto l’algoritmo e i suoi padroni hanno stabilito. Così uno nemmeno si accorge di essere nel mirino di un nuovo sistema di addomesticamento dell’opinione pubblica e quindi anche dell’elettorato. Il caso Cambridge Analytica, con l’uso di dati sensibili per influenzare il pensiero degli elettori Usa a favore del candidato repubblicano, è un esempio da manuale.

Ma torniamo al mondo dei sovranisti e al neologismo in voga. La parola indica chi desidera essere ‘solo padrone in casa propria’ (lo slogan da anni usato dalle varie leghe) e significa anche che prima viene il proprio Paese. È questo, per esempio, anche il concetto base dell’America first di Trump, che nel nostro microcosmo si è concretizzato, quasi ante litteram, in ‘prima ai nostri’. Che dire? Discutiamone, l’arena politica è fatta per questo. Come in ogni frangente, è però sempre questione di proporzioni. Trump, ad esempio, dopo averle sparate grosse coi dazi sta ora tornando sui suoi passi. Questo perché – che scoperta! – il mondo è particolarmente interconnesso e si regge sugli scambi fra Stati: se tu riservi privilegi per i tuoi accoliti, anche il tuo vicino farà altrettanto e ci si troverà presto al punto di partenza.

Il lato oscuro (e rischioso!) del ‘sovranismo’ è quello spinto, che si tira dietro una feccia che nel ragionamento avanza a oltranza, marciando su terreni minati. Terreni che ci fanno tornare indietro di secoli, mettendo in discussione i principi di eguaglianza dei cittadini di fronte a legge e Stato, il divieto di discriminazione legato a censo, colore della pelle, fede religiosa. Alle tesi dei sovranisti plaudono anche i suprematisti (altro neologismo): ovvero coloro – e non mancano anche qui – che tornano a sostenere che i bianchi dovrebbero vivere coi bianchi, i neri coi neri, i musulmani coi musulmani e via di questo passo (d’oca). A dire che non può né deve essere così, non vi sono solo i valori e i principi su cui si fondano le moderne democrazie, ma anche la realtà dei fatti in continuo, anzi perenne, rimescolamento e motore medesimo dell’avventura umana. Così è, ci piaccia o meno. Compito di una società matura è quello di accogliere (entro limiti gestibili) e di trasmettere ai nuovi arrivati i principi e valori della civile convivenza, pretendendo che vengano rispettati. Hanno valore alto, sono frutto di battaglie e li abbiamo ricevuti come un’eredità da consegnare a chi dopo di noi verrà. Guai a far tornare indietro le lancette dell’orologio, masticando una parola che sembra bella, ma che nella storia ce ne ha già fatte vedere di tutti i colori. Il sovranismo, non a caso, rima con nazionalismo. E altri ismi. In bucalettere ci è giunta ieri una cartolina da Berlino, dal Muro. «Chi vuole che il mondo rimanga come è, non vuole che il mondo rimanga». In altre parole: la vita non è fissità, è flusso. Nuotiamoci degnamente per il tempo che ci è dato.

Buon Natale della Patria a tutti!

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