L'editoriale

La casa azzurra e il bene superiore

(Gabriele Putzu)
14 novembre 2017
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La politica e gli uomini del secolo scorso sapevano che sopra ogni cosa c’era il “bene superiore”, ovvero la salvaguardia di valori e principi che saldano, tengono insieme, una comunità non importa per quale scopo e per quale bandiera. E in nome di quel bene si sacrificava tutto, anche (in particolare) le ambizioni personali. Con il ridimensionamento dei cosiddetti corpi intermedi – fra cui i partiti – e l’epifania della personalizzazione che si fa tutt’uno con il corpo del leader a scapito del corpo del partito, il bene superiore si è assai ridimensionato, per non dire diluito nel mondo della comunicazione dove peraltro non vi è mediazione di sorta e dunque ogni cittadino può vedere e “toccare” il corpo del capo. Che quando cade in disgrazia si porta appresso inesorabilmente l’intero partito, che pur ancora esiste e serve per gestire il potere (benché se ne dica).

Quanto sin qui premesso è molto chiaro nella testa di chi oggi ha a cuore le sorti del Ppd e sta riflettendo – al di là delle comprensibili difese d’ufficio – su come uscire dal tunnel in cui si sono ficcati il presidente cantonale e il consigliere di Stato popolari democratici con la vicenda “Argo 1”. Perché, comunque la si pensi, a un anno e mezzo dalle elezioni cantonali (e a sei mesi dalla riflessione sulle liste) non si può certo far finta che niente sia successo. La pancia del partito è disorientata, smarrita, e ne ha motivo. Perché un conto è difendere legittimamente la propria persona da accuse considerate magari infondate o inconsistenti, altra cosa è fare politica chiedendo fiducia in un momento in cui tutto o quasi ti gioca contro e mettendoci la faccia che, proprio perché più esposta del passato, non è più soltanto la tua ma è altresì la faccia dell’intero partito. Diciamola più esplicitamente. Chi oggi guarda negli occhi Paolo Beltraminelli e Fiorenzo Dadò vede sì due uomini, ma anche e soprattutto il Ppd. Perché entrambi sono di fatto, nei contenuti e nella sostanza, il partito popolare democratico ticinese così come gli altri leader cantonali rispetto al proprio partito di riferimento.

Se dunque i leader (presidente cantonale e consigliere di Stato) sono il partito, oggi più di ieri, a maggior ragione il bene superiore deve prevalere sulle esigenze e ambizioni del singolo. Per garantire quei valori e quei principi che – per fortuna – hanno camminato nella storia grazie a molte teste e altrettante gambe. Non sarebbe male che si tornasse a parlare anche di “spirito di servizio”, vale a dire l’impegno politico del singolo come onere e onore a disposizione della comunità. Ci sono momenti in cui fare un passo indietro è più onorevole che restare aggrappati al nulla, all’illusione di un prestigio autoreferenziale.

Poi certo, lo sappiamo, in tempi di specchi e immagini riflesse ogni dove, scendere dal palco non è cosa facile. Come non è facile per il partito, in questo caso il Ppd, trovare in tempi rapidi valide alternative. Per quanto c’è chi già ha conosciuto (in tempi recenti) il sapore della sconfitta ed è senz’altro pronto a rimettersi a disposizione per il “bene superiore”. Appunto. Magari questa volta direttamente a Palazzo delle Orsoline, anche perché è l’unica vera macchina di voti che il Ppd possa ancora lanciare in pista. Nel frattempo, non più tardi di ieri sera ai microfoni della Rsi, c’è chi (Fabio Regazzi, consigliere nazionale, e Giovanni Bruschetti, sindaco di Massagno) ha chiesto esplicitamente al presidente del partito di prendere atto delle difficoltà in corso. Dette in televisione, sono parole pesanti come macigni.

 

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