L'editoriale

Il lavoro che cambia

30 aprile 2016
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Il primo maggio sta tornando un’occasione privilegiata per riflettere sul lavoro. È normale che sia così, visto che quello buono sta diventando sempre più merce preziosa. Chi ce l’ha se lo tiene ben stretto e, rispetto alla generazione passata, non è più così scontato trovarlo interessante e sotto casa. Sul banco degli imputati ci sono i mercati sempre più aperti, che generano maggior concorrenza. Anche la sua deregolamentazione è un dato di fatto, tanto che in diversi settori sono venuti meno i contratti collettivi. Allo stesso tempo l’asticella si alza e sono richieste sempre più competenze ed esperienza. Chi guarda da fuori, con tutto sommato tassi di disoccupazione contenuti, è pronto a dire che qui ci stiamo lamentando pur essendo dei privilegiati. Ma intanto i salari sono fermi e i ritmi aumentano.
Accanto a questi elementi di carattere sindacale, ce n’è un altro, meno dibattuto il 1° di maggio, ma che merita un’ampia riflessione. È quello dell’effetto delle tecnologie sul mondo del lavoro. Quanto stanno modificando le nostre abitudini? Moltissimo: senza esagerare, siamo alla rivoluzione. Lo possiamo dire con cognizione di causa, guardando a quanto succede nel nostro ambito, quello dei mass media. La tivù al centro del salotto, che vedeva tutta la famiglia riunita a seguire lo stesso programma, è stata sostituita da singoli consumatori di prodotti registrati o scaricati, e visti dai diversi componenti dello stesso nucleo, disseminati per casa: chi in camera col portatile, chi in cucina con un iPad, chi invece concentrato sullo schermo del telefonino. Che senso ha allora produrre un palinsesto ancora concepito in modo diciamo classico? Se cambia il nostro modo di fruire la tv, cambierà anche la tv, e con essa cambieranno le offerte dei cinema, come stiamo cambiando anche noi della carta stampata e digitale per raggiungere i fruitori/consumatori di informazione su vettori sempre più diversificati. Un altro esempio? Dal modo classico di fare la spesa, recandosi fisicamente in negozio, si stanno affermando i metodi di ordinazione online. Zalando tanto per fare un nome. Cosa significa un simile cambiamento di abitudini per chi lavora in un negozio tradizionale? Brividi e punti interrogativi, scommesse sul domani tutte da rischiare e poi chissà... Anche il settore dei trasporti, con le vetture capaci di spostarsi senza conducente, subirà mutamenti radicali. Per non parlare dei nuovi orizzonti segnati dall’intelligenza artificiale. Robotizzazione e dintorni.
Ecco, bastano questi pochi esempi molto concreti, che tocchiamo tutti con mano quotidianamente o che iniziamo a intravedere, per renderci conto di come tante professioni vengano modificate/stravolte a causa dell’affermazione delle tecnologie. Grandi sfide per chi traghetta. Cioè tutti. Quindi, per non trovarci presto a fare delle battaglie di retroguardia, perché il mondo sta, volenti o nolenti, andando in una determinata direzione, dettata dal mercato (che siamo noi a indirizzare con le nostre scelte e ogni clic che facciamo), perché non fermare un attimo il tempo e chinarci in modo approfondito sulle nuove tendenze? Nuove tendenze che significano nuovi modi di lavorare e, andando a ritroso, anche nuovi modi di formarsi? Insomma, quali rivoluzioni, per usare il termine giusto, attendono il mondo della formazione e del lavoro?
Questo – la buttiamo lì – potrebbe essere un ambito molto importante, a cui il Dfe e il Decs potrebbero dare un contributo fondamentale: identificare le tendenze del futuro prossimo, andandoci incontro come ente pubblico. E poi decidere, se e come creare le condizioni per attrarre talune novità e con esse offrire nuovi e solidi orizzonti professionali a chi qui studia e lavora.

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