L'editoriale

Più sicurezza, quale dosaggio?

17 novembre 2015
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Questa volta nulla sarà più come prima. Non lo sarà più per chi vive in alcune grandi città, pronto a mettersi in salvo anche solo se esplode un petardo. Non lo sarà neanche, a migliaia di chilometri di distanza dai luoghi sensibili, ad esempio per il giovane ticinese che nelle vacanze di Natale o estive pensava di farsi un giretto delle capitali europee. Non lo sarà per chi è abituato a spostarsi per lavoro con tanta facilità, perché ritornano le frontiere e si controlla di più. Non lo sarà, perché dietro a quel ‘je suis Charlie’ di inizio anno, c’era comunque una redazione di un giornale satirico già sotto scorta, che aveva attirato l’attenzione e l’odio di estremisti religiosi, mentre da venerdì sera dietro a quel ‘je suis Paris’ ci siamo tutti noi. Senza eccezione alcuna. Così, mentre speriamo che i servizi segreti facciano nel miglior modo possibile il loro lavoro (e non pochi sperano che lo facciano anche le bombe in Siria e la diplomazia), di fronte a quelle mitragliate e a tutti quei morti ammazzati, ci ritroviamo pronti a mettere, senza più tanti se e ma, in discussione i nostri principi e i nostri valori fondanti. Quali? È il dilemma che ogni democrazia deve affrontare: più sicurezza uguale meno libertà. Quale il dosaggio più giusto? Ne avevamo già discusso in gennaio con ‘Charlie Hebdo’, scendendo in piazza in difesa delle nostre libertà di opinione e di espressione. Ma, intanto, per la testa erano iniziate a frullarci idee del tipo ‘certo che bisogna fare attenzione a provocare, a fare ironia con quel loro profeta. Se a loro dà fastidio perché insistere?’ rinunciando così, quasi senza nemmeno accorgerci, a un pezzetto di libertà. Ora si restringe un altro caposaldo, il poter circolare liberamente in Europa. Libertà limitata perché è meglio controllare un po’ tutti, chi entra e chi esce. E di persone alla ricerca di accoglienza (leggasi asilo) ne sono entrate in Europa a centinaia di migliaia negli ultimi mesi. Fra loro anche almeno un terrorista che ha sparato e ucciso a Parigi. Bisogna dunque rivedere il diritto all’asilo? Nel contempo, la Francia ha (ri)scoperto di avere anche dei nemici, da tempo, in casa. Musulmani che hanno il loro stesso passaporto, che sono nati e cresciuti sotto la Tour Eiffel, ma che poi si sono radicalizzati, spesso dopo essere finiti in carcere per reati minori. E proprio quella permanenza dietro le sbarre ha fatto conoscere loro ideologie nefaste, ispirate alla guerra santa fratricida. Soggetti a volte già sotto osservazione da parte dei servizi segreti, ma che purtroppo non sono stati fermati in tempo. Anche qui, per questioni di sicurezza, si è pronti a rinnegare i valori nei quali si è creduto sino a poco tempo fa. Il fallimento dell’integrazione (per costoro de facto impossibile) e le loro scelte radicali, suggeriscono di incarcerarli a vita, o persino di togliere loro la nazionalità e poi espellerli. Visto che il loro folle fine è quello di annientare col sangue la società che ha aperto loro le braccia. Gli atti di barbarie compiuti in queste ore spingono quindi come non mai una democrazia matura a rivedere, limitandole, le sue libertà, conquiste di civiltà e di democrazia. Qualcosa di simile è già avvenuto negli Usa dopo l’attacco alle Torri Gemelle e oggi sta avvenendo in Francia dopo l’11 di settembre di Parigi. Sarà una sconfitta della democrazia e dei suoi valori fondanti? In un certo senso sì, ma ne è anche una sua difesa, che si manifesta con la messa in vigore dello stato di emergenza e la concessione di poteri straordinari richiesti da Hollande. Un passo a questo punto inevitabile e necessario, alla sola condizione che sia limitato nel tempo. Quanto al resto, al dosaggio, di cui sopra, la discussione è drammaticamente lanciata.

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