L'editoriale

Ecco perché vince la Lega

20 ottobre 2015
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“La Lega è uno stato d’animo”. Lo dice il coordinatore Attilio Bignasca, nonché fratello del padre-padrone scomparso. Uno, insomma, che la conosce bene. E se non si comprende che è così, mai si potrà mutare una tendenza elettorale che – dopo il voto di domenica scorsa – ha assunto proporzioni radicate e dunque strutturali. Detta altrimenti, chi vuole ridimensionare la Lega dei Ticinesi dovrebbe sgombrare il campo dai pregiudizi e, magari, tornare con la memoria alla propria gioventù. Perché la Lega è oggi in Ticino assai più partito (nel senso vero del termine) di quanto s’immagini. Vediamo perché. Si diceva uno stato d’animo che, ci pare di capire, corrisponde a un’adesione empatica, prima ancora che razionale. Perché per ‘stato’ intendiamo ciò che proviamo, viviamo, in questo momento. In questa contemporaneità. ‘D’animo’, dunque proveniente dall’anima, dalle viscere che si alimentano, digeriscono ed eliminano ciò che serve per vivere, o meglio sopravvivere là dove il mondo sfugge alla nostra individualità, e dunque capacità di controllo. Il partito di Bignasca è riuscito a catalizzare la paura e lo smarrimento, ma anche la speranza nel futuro che per lungo periodo s’è identificata in un uomo: Giuliano Bignasca. Era lui il capolinea delle singole lamentele, era lui il saggio conoscente dei nostri bisogni. Chi vuol capire, soprattutto a sinistra, dovrebbe ricordare quando in gioventù gridava ai cortei ‘W Marx, W Lenin, W Mao Tse-tung’ senza magari sapere cosa avevano fatto o stavano facendo. Oggi l’atteggiamento dei giovani leghisti nei confronti del leader scomparso non è molto diverso da allora, da coloro che a sinistra inneggiavano ai padri del socialismo internazionale. Che poi ognuno ha i simboli che si ritrova. Uno stato d’animo, appunto. Che qui in Ticino, in questi tempi, corrisponde alla difesa del territorio, delle origini, del dialetto e delle tradizioni presunte. Dicevamo che la Lega è il più partito di tutti. In effetti con la morte di Giuliano Bignasca pochi avrebbero scommesso sul futuro del movimento. Senza quello stato d’animo sin qui descritto, del resto, ben poco sarebbe rimasto con la scomparsa del leader-bandiera. Movimenti ‘ad personam’ nati e morti nello spazio di un mattino hanno più volte calcato la scena cantonale. Con altri mezzi finanziari, certo, ma prima servono humus e ideologia, poi i denari per diffonderla. Se non si è in grado di ‘toccare l’anima’ del popolo, tutto il resto non fa egemonia. Tutt’al più potere, che è un’altra cosa. Venuto meno il padre-padrone, la Lega ha saputo reinventarsi con una gestione a più voci e una tenuta territoriale praticamente immutata, anzi superiore. A dimostrazione, ancora una volta, che sa essere partito anche senza una vera struttura interna. Ma partito diffuso e radicato, dove l’adesione da Airolo a Chiasso non cambia di una virgola. La ‘ticinesità’ è il collante di chi qui ha le proprie origini, di chi non le ha ma avrebbe voluto averle e di chi le scopre ora. Poco, oggi, contano le persone elette in Municipio, in Gran Consiglio, in Consiglio di Stato o alle Camere federali: vanno bene tutti i candidati, purché della Lega. Contano lo stato d’animo, l’appartenenza, l’identità del partito. Il resto, per il leghista, è contorno. Non così per gli altri elettori che, non a caso, fanno gran uso del panachage come capitato anche in questa tornata elettorale (vedi a pagina 5). Gli altri guardano alle persone e poco alla politica. Ma è quest’ultima a vincere sempre. Benché se ne dica. Con annesse vibrazioni ideologiche, beninteso.

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