L'editoriale

Un'occasione per tutti

12 settembre 2015
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Che fossero le Indie orientali o altre Indie, c’è da credere che al mozzo di Cristoforo Colombo non importasse granché. Avvistata la terra ferma, c’era solo da portare le ossa all’asciutto, ci fosse quel che ci fosse. Pure il ticinese che oggi, sbucando dal Parco Ciani o svoltata la curva che mena a Paradiso, dovesse avvistare il Centro Lugano Arte e Cultura, tirerà forse il sospiro liberatorio di chi si è tolto un pensiero dalla testa, o dalle orecchie. Dopo oltre un decennio di traversata – fra visioni lungimiranti e imboscate, fughe in avanti e pugnalate alle spalle, slanci ideali e bassezze di provincia, interesse collettivo e interessi di bottega – 346mila mozzi vedono finalmente la riva. Ma sarà sano assecondare un senso di curiosità per ciò che di imprevisto, deludente, bello là potrebbe trovarsi.
Volendo fare un passo al di là di antiche quanto usurate logiche campanilistiche, il Lac si offre come investimento prezioso per una città e per tutto un cantone in crisi d’identità. Anzitutto, malgrado l’inevitabile chiacchiericcio di sottofondo, per provare a veicolare l’immagine positiva, propositiva, seducente di una piccola regione che sa ancora guardare lontano e coltivare grandi sogni, proprio mentre le tensioni che la attraversano suggeriscono a molti la chiusura a riccio, notoriamente buona solo per un’incerta conservazione. Un’immagine negli ultimi anni un tantino degradata, sia a Nord che a Sud dei nostri confini; vale a dire presso quel pubblico su cui si conta per il successo di questo progetto (per dire, nei giorni della fuga ticinese da Expo, un funzionario bernese ebbe a dire: «Ormai voi per noi siete comprensibili tanto quanto uno Stato centrafricano»).
Fra vent’anni Daniele Finzi Pasca spera di poter dire che una generazione sarà cresciuta con il Lac. Perché questo idealmente dovrebbe rivelarsi luogo di scoperta, di apertura, di crescita per il pubblico, ma allo stesso tempo per chi in questa regione a più livelli e in diverse forme di cultura si occupa. Vedere, incontrare, instaurare relazioni, trovare uno spazio di espressione. E questi primi due giorni di inaugurazione, oggi e domani, sembrano pensati proprio per disinnescare le polemiche preventive riguardo al possibile cannibalismo del Lac verso la scena culturale locale: fra pochi momenti clou (tra cui per altro la Compagnia Finzi Pasca e l’Osi), il programma è disseminato di appuntamenti con realtà artistiche ticinesi.
Affinché la ricaduta culturale, d’immagine ed economica sia quella auspicata, inutile dirlo, la scommessa sta tutta nei contenuti con cui dare una fisionomia e un senso al Lac. In altre parole, un volto riconoscibile, un’identità; capace di parlare a un pubblico ampio e di accogliere l’espressione delle culture umane in tutte le sue forme (superando magari in modo personale la frattura fra sapere umanistico e sapere scientifico). Se non troppe ansie dovrebbero infondere il programma musicale e quello teatrale, più insidie si nascondono nel lavoro del museo; per gli investimenti che comporta, per la concorrenza cui dovrà far fronte e per le pressioni di cui sarà oggetto. La mostra d’apertura, con la sua scelta “Nord-Sud”, appare significativa e perfettamente motivata, oltre che un buon biglietto da visita con quell’uomo di Giacometti che si staglia sul golfo di Lugano. Ma per trovare la «coerenza» auspicata dal suo direttore, e i risultati che dovrebbero seguirne, servirà forse un pizzico di coraggio in più.
Ecco, scampati alla traversata della insidiosa selva ticinese, che il “dibattito” si sposti sui contenuti; sarebbe già un passo avanti. Intanto il Lac c’è e, dopotutto, ci pare un bel vedere. Tanto vale, mozzi o capitani, approfittarne.

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