L'editoriale

Senza remissione la Grecia soffoca

1 aprile 2015
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Non si tratta più della Troika, ma del Gruppo di Bruxelles. Cambia la forma, non la sostanza. Insomma, senza le riforme che piacciono fondamentalmente a Berlino, Atene non riceverà il prestito ponte che le permetterà di far fronte ai suoi impegni finanziari. Nei giorni scorsi, poco prima della visita di Stato a Berlino, Alexis Tsipras era stato fin troppo chiaro: senza gli aiuti internazionali, per la Grecia sarebbe stato impossibile onorare le prossime tranche del debito accumulato nei confronti delle istituzioni comunitarie. Il 16 marzo, all’indomani della lettera del primo ministro greco all’eurogruppo, la Grecia ottenne l’impegno, da parte del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, di sbloccare due miliardi di euro di fondi per lo sviluppo Ue già stanziati, ma da Atene non ancora spesi. Il tutto in cambio della promessa di fornire in tempi brevi una nuova lista ‘completa e dettagliata’ di riforme. Impegno già sottoscritto da Atene durante l’Eurogruppo del 20 febbraio scorso, quando le vennero garantiti altri quattro mesi di ossigeno grazie a un ulteriore prestito ponte da 7,2 miliardi di euro che tarda a essere elargito. I problemi di cassa della Grecia si stanno acuendo da quando non ha accesso ai mercati internazionali dei capitali e da quando la Banca centrale europea ha imposto ulteriori vincoli al sistema finanziario ellenico e all’emissione di titoli a breve termine. Il rischio concreto è che – visti gli obblighi di pagamenti di tranche di debito in scadenza nel corso della primavera e l’inizio dell’estate, combinati con i ritardi nella concessione di nuovi aiuti internazionali – onorare il debito diventi pressoché impossibile. Ieri è scaduta una rata con il Fondo monetario internazionale di oltre un miliardo di euro. Nei giorni scorsi sono stati pagati altri 340 milioni sempre all’istituzione di Washington, ed entro la fine di aprile il Tesoro greco potrebbe avere le casse vuote. Si aprirebbe in questo modo un’autostrada per il cosiddetto ‘Grexit’, l’uscita di fatto dalla moneta unica da parte di Atene che a parole tutti i leader europei – a partire dalla Germania e compresi gli stessi greci – vogliono evitare. Ma cosa propone il governo di Atene? Aumento dell’Iva, mantenimento della tassa sugli immobili, una generica lotta all’evasione fiscale e la continuazione – anche se parziale – del processo di privatizzazione di attivi pubblici. Proprio quello che in campagna elettorale Tsipras si era impegnato a evitare. In poco più di due mesi, il governo di ‘sinistra-sinistra’ con venature nazionaliste, paladino dell’anti-austerità, sta lentamente rientrando nei ranghi dell’eurocompatibilità. Ma tutto ciò non è ancora sufficiente per i creditori internazionali. Con un rapporto debito-Pil che supera il 175%, un debito pubblico che in cifre assolute è pari a oltre 330 miliardi di euro (240 miliardi dei quali nei confronti dell’ex Troika: Commissione Ue, Bce e Fmi), gli spazi per una politica fiscale espansiva sono nulli, a meno di una remissione totale del debito da parte dei creditori istituzionali. Senza l’ossigeno europeo, Atene avrebbe fatto ‘default’ da un pezzo. Il costo del salvataggio è però già stato pagato duramente dalla popolazione greca, quella meno abbiente per intenderci. Insistere in modo pedissequo, da parte dell’Eurogruppo, per riforme inattuabili e inefficaci equivale a spingere la Grecia fuori dalla moneta unica e quindi dall’Unione europea. A meno che non sia questo il vero disegno delle istituzioni comunitarie.

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