L'editoriale

La politica delle tre carte

18 dicembre 2014
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Alleanze trasversali, create spesso all’ultimo minuto prima del voto; interessi di parte (meglio, di corporazione) che prevalgono su quelli generali; consiglieri di Stato in balia dei venti o, se volete, dei tatticismi quasi sempre esterni al parlamento. La politica ticinese declinata in Gran Consiglio – il voto di ieri sera sul preventivo 2015 ne è l’esempio riassuntivo, a fine legislatura – da almeno tre anni a questa parte ricorda il gioco delle tre carte che permette allo scugnizzo napoletano di tirare fregature e racimolare qualche spicciolo. Fare giornata. Come i partiti ticinesi che siedono in parlamento, appunto. Dall’inizio di questa legislatura si cerca di fare giornata. Portare a casa le briciole, in qualche modo. Poco importa che manchi la capacità di alzare lo sguardo sul medio periodo, poco male se dopo dodici mesi si ritorna quasi sempre alla casella di partenza. Il motivo, lo dicono ormai tutti, è la frantumazione parlamentare che comporta l’intesa almeno fra tre gruppi per fare maggioranza. Ma questo è solo l’effetto. La causa si chiama ‘Patto di Medeglia’, ovvero quella specie di accordo (verbale e improvvisato anche quello, secondo testimonianze di fede degna) siglato nel 2012 da Plr, Ppd e Lega dei Ticinesi in un grotto del ridente paese ticinese. Patto fortissimamente voluto dall’allora neopresidenza liberale radicale e dal Ppd di Giovanni Jelmini che stava completando la virata a destra. Fu in quell’occasione che si decise di cambiare marcia e pretendere uno Stato più ‘snello’, escludendo i socialisti da ogni possibile confronto o alleanza. Una maggioranza a tre che in qualche modo rispecchiava l’intesa governativa fra i due leghisti e il consigliere di Stato popolare democratico che avevano aperto le danze, indicato la linea, un anno prima col blocco delle imposte dei frontalieri da ristornare all’Italia. Una maggioranza fragile, come s’è capito nel giro di pochi mesi, perché la Lega di Giuliano Bignasca è sempre stata – per sua natura – inaffidabile. Chi fa del populismo la propria strategia, non può che seguire l’umore della gente che ondeggia ogni giorno come le canne al vento. È dopo quel Patto che il parlamento si è trasformato in una variabile indipendente, senza controllo e senza costrutto. Ostaggio dei tatticismi. Il risultato è lì da vedere: ingovernabilità pressoché costante, insicurezza generale, problemi economici sovradimensionati, decisioni estemporanee, tensione con Berna alle stelle e, dulcis in fundo, lavoratori frontalieri in crescente aumento nonostante. Ieri sera, l’ultimo atto. Con la Lega dei Ticinesi che, oggi orfana del leader massimo, si ricompatta all’ultima ora (e si astiene) per salvare il bilancio preventivo 2015 nonostante lo schiaffo ricevuto dal suo consigliere di Stato, Claudio Zali. E con Plr e Ppd esultanti per aver bloccato una tassa (quella sui grandi posteggi) voluta dagli stessi partiti nel 1994 e mai applicata. Una tassa che voleva rendere giustizia a un territorio – soprattutto nel Sottoceneri – massacrato dal cemento e dal traffico veicolare privato (grazie, va detto, alla compiacenza delle autorità locali). Per dire: quella Lega che all’inizio degli anni Novanta organizzava con successo la ‘Carovana della libertà’ paralizzando l’intera autostrada ticinese, ieri si è battuta per finanziare il trasporto pubblico. E quel Plr che ha votato la legge sui trasporti pubblici nel 1994, oggi promuove un referendum contro l’aumento dell’imposta di circolazione. È la politica, ci dicono. No, è il gioco delle tre carte. Senza ideali, senza progetti, senza prospettive. Ma quanto può durare?

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