L'analisi

Il vaccino russo è quasi pronto, la sua produzione no

Forti dei loro studi sulla Sars, gli scienziati russi sono partiti avvantaggiati sulla ‘concorrenza’. Ma ora mancano le infrastrutture

(Keystone)
24 novembre 2020
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La corsa per giungere primi al vaccino contro il Covid-19 è anche una battaglia geopolitica. In palio non ci sono solo profitti miliardari ma tanto, tantissimo prestigio internazionale. Il ‘soft power’ del Paese che riuscirà a vaccinare – anticipando i concorrenti – i propri cittadini, e a mettere quanto prodotto a disposizione della comunità, otterrà un impulso semplicemente globale.

All’inizio della pandemia la Russia è parsa essere quella più avanti nelle ricerche. La ragione è semplice: gli scienziati federali hanno continuato a studiare dopo il 2003 il virus della Sars e le successive evoluzioni. Chiaramente non hanno poi sviluppato le fasi per arrivare a un vaccino, che non era necessario, poiché la Sars è scomparsa in un baleno. Partendo da quegli studi, però, i russi hanno rapidamente superato i primi passaggi per arrivare alla definizione di una sostanza che potesse combattere il virus senza troppe controindicazioni.

Il caso ha poi voluto che si ammalassero politici di primo piano, oligarchi, gente del jet set a inizio primavera 2020. La necessità si è così trasformata in urgenza e obbligo di provarci per salvare delle vite. A molte personalità – compresa una delle due figlie del presidente Putin – è stato iniettato il campione del vaccino. L’esito è parso positivo. Solo in un secondo momento le riviste scientifiche internazionali si sono interessate allo Sputnik 5, che nonostante le controversie non appare un bluff.

Semmai è il suo uso propagandistico – torniamo pertanto in ottica ‘soft power’ – che ha suscitato perplessità. Così, non appena un gruppo occidentale ha reso noto che il suo vaccino ha un’incidenza positiva del 92%, la Russia ha comunicato, dopo una manciata di ore, che un suo secondo vaccino, appena registrato (EpiVacCorona) ne ha ben il 94%. Insomma, è parsa una corsa a chi la spara più grossa. I nodi, però, arrivano sempre al pettine. A sentire le dichiarazioni ufficiali la fase 3, quella riguardante il test su migliaia di volontari, è stata completata. Adesso la questione centrale è la produzione di massa. Mosca – sta venendo fuori – non è in grado di produrre milioni di dosi e il presidente Putin si è rivolto per un aiuto ai colleghi del Brics, il club dei Paesi emergenti, e al presidente francese Emmanuel Macron. Le vaccinazioni di massa della popolazione russa promesse entro fine novembre, a meno di sorprese, sembrano allontanarsi ogni giorno di più.

Cosa è successo? Qualche buon ricercatore – formatosi in tempi sovietici – non si è trasferito all’estero, accettando per anni stipendi da fame, ma le infrastrutture – in questo caso l’industria farmaceutica – sono state smantellate in questi ultimi decenni. La lezione è che certe scelte scriteriate del passato ora si pagano a prezzo salato! La ‘macchina’ russa rischia di fermarsi vicino al traguardo.

Americani, europei e cinesi sono anche loro scatenati in questa gara contro il tempo. Arrivare primi, oltre a salvare chiaramente tante vite, significa dimostrare al mondo la qualità del proprio Paese e la bontà del proprio modello. In tempo di globalizzazione sfrenata, con i cinesi che già fanno esperimenti sul 6G, sarebbe uno smacco per russi e occidentali arrivare secondi o terzi.

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