L'analisi

Ferocia jihadista contro la Francia laica

Dalle parole incendiarie di Erdogan all’attentato di Nizza. Fra silenzi e reticenze colpevoli, se non complici.

(Keystone)
29 ottobre 2020
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Ancora la ferocia jihadista. Ancora Nizza. La città della Costa azzurra che quattro anni fa, in una calda sera di festa nazionale, fu palcoscenico di uno dei più selvaggi attentati contro la République, attacco che sul lungomare più celebrato e frequentato di Francia falciò le vite di 80 persone, bambini compresi, è di nuovo teatro di un’aggressione che toglie il respiro. Ultimo atto di una recente sequenza dell’orrore: cominciata a fine settembre con l’accoltellamento di due giovani nei pressi della redazione di Charlie Hebdo (‘colpevole’ di aver ripubblicato le caricature di Maometto), proseguita con la decapitazione alla periferia di Parigi di Samuel Paty, il docente che quelle vignette aveva deciso di mostrare in classe per discutere con i suoi allievi il tema della libertà di pensiero, e piombata ieri nella basilica Notre Dame di Nizza. Altri tre morti, un altro sgozzamento. 

«La Francia sotto attacco», dice, a ragione, il presidente Macron. Non sempre il fanatismo islamista colpisce in base a un calendario preciso. Non sempre ha il bisogno di dare ordini a lupi solitari in cerca di emulazione. Ma stavolta una regia si può intravedere. Non a caso negli scorsi giorni l’agenzia Thabat – vicina ad Al Qaida – aveva invocato e preannunciato altro sangue. Non a caso la Francia patria del laicismo era ormai indicata come il bersaglio da colpire. E non a caso quest’ultima strage avviene mentre il capo dell’Eliseo dichiara guerra al «separatismo islamico», che tenta di imporsi nella comunità musulmana francese, per mettere la propria lettura del Corano in concorrenza contro le leggi dello Stato. Macron vuole un «Islam francese», preannuncia una più efficace sorveglianza sulle moschee dell’Esagono, intende tagliare il nodo degli imam importati (20 maghrebini, 120 algerini, 150 turchi) spesso agli ordini delle ambasciate dei rispettivi paesi d’origine (lo chiamano l’‘islam consolare’). E subisce l’attacco personale e politico del presidente turco Erdogan, un neo-sultano senza più freni, che estende all’Europa l’accusa folle di «trattare i musulmani come gli ebrei prima della seconda guerra mondiale». Parole incendiarie. 

Violenza verbale dietro cui l’autocrate di Ankara coltiva disinvoltamente e pericolosamente i suoi calcoli politici: presentarsi come ‘lo scudo dell’umma’ (l’intera comunità musulmana); perseguire l’obiettivo di un nuovo impero ottomano a sud del Mediterraneo; superare attraverso un nazionalismo vociante le difficoltà dell’economia nazionale e la resistenza all’islamizzazione delle grandi città turche; usare la forza militare, dalla Siria, alla Libia, al Mediterraneo orientale. La Francia, mentre troppi tergiversavano, o erano assenti e silenti, è stata la più esplicita nel condannare le mosse del piromane Erdogan. Certo, Parigi difende interessi propri, ma anche questioni di diritto internazionale, di principio e di civiltà. Quindi per la Turchia diventa il ‘bersaglio perfetto’. Contro cui aizzare le folle islamiche, e indirettamente incoraggiare la mano di altri assassini. A farlo è un membro della Nato. Alleanza che a questo punto deve pur decidere se Erdogan possa farne ancora parte. Visto che la Nato ancora pretende (a parole) di difendere libertà e democrazia. Silenzi e reticenze colpevoli. Se non complici.

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