L'analisi

Un Nobel contro lo scandalo della fame

Il merito e il significato del premio andato al World Food Programme

12 ottobre 2020
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Ha sempre avuto una esplicita connotazione politica il Nobel per la pace. E spesso, quel premio è stato motivo di polemiche. Fu così con quello attribuito nel 2009 a Barack Obama, a pochi mesi dalla sua entrata alla Casa Bianca. In realtà, quell’assegnazione voleva sottolineare l’eccezionalità storica del primo nero presidente americano, e dell’illusione, com’è oggi sotto gli occhi di tutti, che quell’evento potesse ricucire le profonde ferite del razzismo negli Stati Uniti.
Ora, undici anni dopo, oltre alla segnalazione di una giustissima causa, c’è anche una piccola ma evidente dose di malizia nel Nobel per la pace 2020 attribuito al World Food Programme e alla sua lotta contro la fame nel mondo. Gli Stati Uniti (con oltre il 40 per cento, su otto miliardi di bilancio) sono i principali finanziatori dell’Agenzia Onu; il suo direttore è l’americano David Beasley; ex governatore repubblicano della South Carolina, dichiarato sostenitore di quel Donald Trump che ha spesso attaccato le Nazioni Unite (sede dell’odiato multilateralismo), e minacciato di ridurre i finanziamenti americani.

Un bel gioco d’anticipo da parte del comitato norvegese e il riconoscimento di un’organizzazione di cui va riconosciuta l’assoluta necessità: 15 miliardi di razioni alimentari distribuite in 83 Paesi, a beneficio di 87 milioni di persone. Per il 2020, l’organizzazione mondiale “Oxfam” lancia l’ennesimo allarme: dodicimila morti per fame ogni mese; 126 milioni affetti permanentemente da fame acuta; e 690 milioni che vivono sull’orlo della denutrizione (trecento in meno rispetto a trent’anni fa, nonostante la popolazione mondiale sia aumentata di due miliardi).

Cifre eloquenti. Di cui si parla pochissimo. E che lasciano indifferenti (spesso perché disinformati) quelli nati nella “parte giusta” del pianeta. Il diritto al cibo è il primo dei diritti umani, e la fame non è affatto inevitabile. È il risultato di politiche agricole spesso ancora sbagliate, di piccoli proprietari di terreni espropriati per soddisfare le multinazionali, della distruzione di delicati e secolari equilibri produttivi che garantivano il patrimonio anche alimentare a milioni e milioni di persone, della rapacità delle corporation che “hanno acquisito a forza un oligopolio delle sementi modificate in laboratorio” (denuncia Vandana Shiva), di regimi locali dittatoriali corrotti, del fenomeno “land grabbing” con cui la Cina ha acquistato terre in Africa e offerto 60 miliardi di dollari in prestiti che impongono a diverse nazioni un debito pubblico non rimborsabile, evidente forma di neo-colonialismo.

Ora le conseguenze del Covid-19 non faranno che accrescere la recessione, quest’ultima la miseria, quindi la disuguaglianza, e già la Banca mondiale prevede che i poveri aumenteranno da un miliardo a un miliardo e 400 milioni. Più povertà significa più fame. Non basta certo un Nobel per rovesciare e bonificare un quadro così drammatico, animato da troppi egoismi, da innumerevoli interessi economici, e risolvibile (quantomeno ridimensionabile) solo grazie a un rovesciamento di paradigma economico-politico. Per il resto durerà pochi giorni, durerà poche ore un annuncio che dovrebbe rianimare le coscienze sopite.

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