laR+ L'analisi

Lukashenko pronto a tutto per sopravvivere

Il presidente bielorusso 'ruba' le elezioni e sfida anche la Russia

12 agosto 2020
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Stiamo assistendo alla variante bielorussa del soffocamento di una protesta popolare. Aleksander Lukashenko ha riportato le lancette indietro di una ventina d’anni, spegnendo internet e bloccando i social media. Le televisioni sono in mano sua. Gli basta fermare i giornalisti, testimoni scomodi, per conservare la conduzione della narrativa degli eventi.

L’irritazione di Marija Zakharova è emblematica. Vi è stato, ha denunciato la portavoce del Ministero degli esteri russo, un “uso non proporzionato” della forza. Reporter di media vicini al Cremlino o alle opposizioni federali, a Minsk, sono stati malmenati, fermati senza troppi complimenti, bloccati alle stazioni di polizia nonostante avessero richiesto, come da prassi, i permessi di accredito.

Lukashenko, insomma, non guarda in faccia nessuno – nemmeno i “fratelli” russi – in questa sua personale battaglia per la sopravvivenza. E per la comunità internazionale questo è un grattacapo. La visita del ministro degli Esteri tedesco Maas a Mosca non è casuale: si vogliono evitare i tragici errori, commessi nella primavera 2014, durante la crisi ucraina, le cui conseguenze sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti.

Non conviene ad alcun attore, ora, uno scontro tra i due Poli continentali, già alle prese con la pandemia e il rallentamento economico. Malgrado le aperture degli ultimi anni, gli occidentali hanno capito che il presidente bielorusso persiste a colpire i dissenzienti. Per i russi Lukashenko sta diventando ingombrante. E poi, ci si domanda, come ha potuto stringere la mano a Putin senza averlo avvertito prima di avere avuto il Covid? Certe scortesie a quei livelli mettono fine all’empatia di decenni.

Lukashenko al potere a Minsk è stato a lungo la soluzione per mantenere lo status quo geopolitico. Il presidente bielorusso, al momento, intende continuare ad esserlo. Ma i tempi cambiano e ora tocca fare i conti con il volere del popolo.
Quella di domenica è stata una consultazione scontata: un imbroglio in cui chi è più prepotente vince. Addirittura sono stati bloccati i seggi dall’interno con elettori impossibilitati a votare nelle strade.

Da quanto si osserva in queste ore tesissime le città hanno scelto in massa il cambiamento, le province forse no. Gli statali e i militari sono in parte rimasti fedeli a Lukashenko, che potrà sopravvivere al potere solo con l’aiuto degli apparati di sicurezza. Sempre che questi ultimi non si rendano conto che non siamo più nel 2010 – quando vi fu una crisi simile − o nella Belgrado del 2000, e che non buttino gli scudi e scappino via.

La protesta popolare, sotto le più diverse forme, è destinata a durare. Ma fondamentale sarà il numero delle fabbriche che parteciperanno allo sciopero generale per giungere alla paralisi dell’economia.

Un’ultima considerazione. Sulla base dell’esperienza bielorussa è bene comprendere che modifiche costituzionali – non bilanciate – sono pericolose. Nei sistemi presidenziali il vincolo dei due mandati non può essere soppresso a cuor leggero. Altro che sei mandati consecutivi come il recordman europeo, Aleksander Lukashenko.

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