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Per un vaccino democratico

Che la salute, al di là del Covid-19, debba essere un bene comune mette tutti d’accordo. Che lo sia nella realtà è solo pio desiderio.

Evitare speculazioni nella commercializzazione del vaccino per il Covid-19 (Foto Ti-Press/Archivio)
27 maggio 2020
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“Qualsiasi vaccino anti-Covid è un bene comune a livello mondiale, e deve essere sottratto alle leggi di mercato”. Parole non di un radicale sinistrorso. Bensì del liberale (per molti liberista) Emmanuel Macron. Che ha bloccato i propositi della multinazionale Sanofi, laboratorio farmaceutico con sede in Francia, mercato soprattutto negli Stati Uniti, e consistenti aiuti dallo Stato.

Il principale dirigente di Sanofi – Paul Hudson, cittadino britannico – aveva preannunciato in un’intervista che “gli americani avranno diritto a una importante pre-acquisizione (del farmaco) perché prima di tutti gli altri si sono assunti il rischio di finanziare le nostre ricerche”. Gli Stati Uniti lo hanno fatto attraverso un’agenzia federale che sta investendo un miliardo di dollari in diverse società impegnate in tutto il mondo nella corsa all’antidoto per sconfiggere il virus. Da notare che il colosso americano non è certo in difficoltà: a fine aprile Sanofi ha distribuito oltre quattro miliardi di euro di dividendi ai propri azionisti. E nonostante ciò ha anche beneficiato di sconti fiscali dell’erario francese per un totale di 110 milioni di euro.

Che la salute, al di là del Covid-19, debba essere un bene comune mette tutti d’accordo. Che lo sia nella realtà è solo pio desiderio. Nonostante i progressi dei sistemi assicurativi pubblici, si cura meglio chi ha maggiori disponibilità economiche, può scegliere i contratti assicurativi più costosi e performanti, i medici ritenuti più capaci, le migliori cliniche specialistiche, e può acquistare anche all’estero medicamenti molto costosi e non sussidiati. Inoltre, la regola dei brevetti detenuti da poche grandi case farmaceutiche, e le pressioni per impedire o ritardare la possibilità di mettere sul mercato i cosiddetti ‘generici’, rende assai difficile la possibilità di iniziative concorrenziali che consentirebbero la vendita di farmaci meno costosi e dunque più accessibili. Soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

Il Premio Nobel per l’economia Jospeh Stiglitz fa un esempio eloquente: il PCV13, un vaccino per bambini prescritto contro vari ceppi di polmoniti, costa diverse centinaia di dollari, principalmente perché sottoposto al monopolio della casa farmaceutica statunitense Pfizer: benché nel Terzo Mondo si tenti di coprire una parte della spesa, molte famiglie non possono permetterselo. E Stiglitz ricorda che “ogni anno in India si registrano più di centomila morti di neonati causate dalla polmonite”.

Certo, la ricerca costa molto. E ancor più nel caso del Covid-19, vista l’accelerazione della lotta al virus. Ma c’è un esempio clamoroso e poco noto che ci dice come non sempre la legge del profitto debba prevalere sul benessere collettivo. Ed è il metodo con cui mezzo secolo fa i governi di oltre 100 nazioni si riunirono nel Gisrs (Sistema globale di sorveglianza e risposta) per finanziare collettivamente il vaccino contro l’influenza stagionale. Sistema in cui nessuno ci guadagna, e del quale tutti possono beneficiare a costi ridottissimi. Basterebbe applicare lo stesso metodo alla ricerca e al finanziamento del salva-vita contro il Covid-19 per evitare – come chiedono molti rappresentanti del mondo medico scientifico – l’indecenza di guadagni astronomici sull’attuale pandemia. E per impedire priorità nella distribuzione a livello internazionali. In base alla “classifica” del più forte. Quindi del più ricco.

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