L'analisi

Doppio azzardo di Trump e Iran

Repressione “a porte chiuse”. Senza testimoni indipendenti. E con la decisione di bloccare internet per diversi giorni.

2 dicembre 2019
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Non su tutti, ma su molti scacchieri l’“America first” di Donald Trump consiste in atti di forza o in politiche che creano o creeranno nuovi problemi. Il Vicino Oriente – uno dei teatri internazionali in cui il capo della Casa Bianca si muove con una disinvoltura che spesso irrita i generali del Pentagono – ne è un esempio. Che si tratti dei curdi siriani, indispensabili nella guerra terrestre all’Isis e abbandonati nella doppia tenaglia dell’intervento militare turco e del minaccioso ritorno dell’esercito del dittatore Assad; o della dichiarazione secondo cui gli Stati Uniti non considerano più illegittima l’occupazione dei territori palestinesi, che segue il proclamato diritto israeliano sulle alture del Golan e su tutta Gerusalemme; o, ancora, l’abbandono (senza alcuna prova di violazione da parte di Teheran) dell’accordo sul nucleare iraniano, seguito da sanzioni che bloccano molti altri Paesi (europei in primis), danno vigore alle forze più retrive del regime, ne mettono in ginocchio l’economia, e producono un impoverimento che è fra i principali motivi di una vasta protesta popolare che (segnala Amnesty International) avrebbe già fatto alcune centinaia di morti in una delle peggiori pagine repressive degli ultimi quarant’anni.

Repressione “a porte chiuse”. Senza testimoni indipendenti. E con la decisione di bloccare internet per diversi giorni. Da quattro decenni abituata alla recessione – provocata anche dalla pessima gestione della classe dirigente, da una corruzione dilagante, dalle lotte intestine e negli ultimi anni da una vocazione all’espansionismo – la teocrazia iraniana, ancora una volta, e nonostante le speranze suscitate anni fa dal pragmatismo del presidente Rohani, affida dunque la sua sopravvivenza alla violenza sul proprio popolo. Obiettivo di Trump, in automatica sintonia con Israele e Arabia Saudita, lo strangolamento dell’economia iraniana (per il 75 per cento tributaria delle esportazioni petrolifere) ha già provocato un drammatico crollo del nove per cento del Pil, pari a quello del 1988, ai tempi della rovinosa guerra scatenata da Saddam Hussein, sostenuto dall’Occidente anche in forniture militari.
Economia di guerra e repressione. Ma l’impressione è che il regime, impegnato nel duro confronto con i sauditi per la supremazia nel mondo islamico, difficilmente si piegherà alle pressioni americane (silente, di nuovo, l’Europa). Influenzata dal ‘metodo nordcoreano’, Teheran ha annunciato in piena tempesta la ripresa dell’arricchimento dell’uranio. E non ha rinunciato a qualche provocazione anti-americana e anti- britannica. Da Washington a Teheran, dunque, una doppia e pericolosa tattica dell’azzardo.

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