L'analisi

Brexit in ogni caso

Che l’Europa perda un pezzo non è una buona notizia

18 ottobre 2019
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Che l’Europa perda un pezzo non è una buona notizia. Anche se quel distacco avviene entro un processo concordato, e benché il Paese che se ne va fosse (forse sin dall’adesione) una sorta di corpo estraneo, si tratta di un evento che rimette in discussione l’esistenza stessa dell’Unione europea, non solo svelandone le vulnerabilità ma rovesciando il percorso storico e le ragioni politiche a cui si deve la sua nascita.

Se un componente l’unione se ne va, non volendone più sapere, il motivo può essere un suo insensato capriccio o la seduzione riuscita degli arruffapopoli nazionalisti; oppure un difetto, una stortura, qualcosa che non funziona nello spirito e nel meccanismo unitario.

Alle élite eurocentriche tornerà comodo indicare nei primi motivi la ragione dell’uscita di Londra; i nazionalisti si barricheranno dietro i secondi, ma non per prepararsi a combattere una battaglia per la disgregazione: semmai per stare al riparo in attesa di vedere come butta. Per questo è difficile immaginare che gli uni e gli altri apprendano la lezione in tempi ragionevoli.

Quanto al procedere dei fatti, va rilevata la fragilità dell’accordo annunciato ieri: per i suoi contenuti e per i personaggi che ne sono i garanti e, dovendo passare per un processo di ratifica non scontato, i piazzisti. Boris Johnson più di tutti gli altri.

Alle ultime serrate trattative si è arrivati dopo che il parlamento londinese aveva bocciato per tre volte un accordo precedente, non così dissimile da quello raggiunto ieri. Il no che travolse Theresa May venne dai laburisti, più per (confusi) calcoli di politica domestica che per una diversa idea d’Europa; ma soprattutto dai conservatori, alla cui testa si era posto quel Boris Johnson che sabato si presenterà a sua volta ai Comuni chiedendo per il proprio deal un’approvazione della quale non ha certezza. Come si sa, gli unionisti nordirlandesi – dei cui voti Johnson non può fare a meno – sono contrari; mentre il Labour nelle mani di un Corbyn deludente e di nulla lungimiranza non ha alcun interesse a promuovere Johnson nella Storia, e spera ancora nella legge che impedisce uno scenario no deal.

E anche questa potrebbe essere una lezione: alla prova della concretezza politica e della responsabilità, i capitan fracassa del cosiddetto populismo europeo mostrano tutta la loro vacuità e inadeguatezza. Anche Boris “fuori-a-ogni-costo” Johnson ha dovuto negoziare un accordo che gli salvasse almeno la faccia, ma dovrà comunque affrontare un “percorso May”, senza essere certo di uscirne incolume. Dall’Europa ha avuto il primo; con i Comuni farà i conti sabato.

È vero: ha pur sempre (conta di avere) in serbo l’uscita no deal. Ma da quel momento la cosa riguarderà più il Regno che l’Unione. La quale, si spera, si prenderà il tempo per capire che proseguire come se nulla fosse accaduto la condurrebbe a una fine anticipata. Senza nemmeno un Johnson a cui dare la colpa.

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