L'analisi

Se Donald Trump chiede aiuto a Kiev

La vicenda dell'Ucrainagate è un arma a doppio taglio: indebolisce il suo rivale democratico Biden e agita lo spettro interno di candidati 'socialiste'

(Keystone)
7 ottobre 2019
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Memorie corte. In effetti, perché mai stupirsi di un Donald Trump che, dopo aver bloccato aiuti militari per 300 milioni di dollari destinati a Kiev, chiede insistentemente aiuto all’Ucraina affinché indaghi e incastri il suo principale avversario democratico in vista della prossima corsa presidenziale? Memorie corte, appunto. Perché basterebbe riandare alla campagna elettorale del 2016. Era il mese di luglio. E durante un comizio il tycoon invocò pubblicamente: “Russia, se ci stai ascoltando aiutaci a trovare le 30mila e-mail di Hillary Clinton che sono sparite”. Più esplicito di così... Ci fu qualche protesta, ma lo scandalo venne superato in pochissimi giorni. Sembrava la boutade di un candidato con poche chance e quindi in cerca di clamorosi ‘colpi bassi’; una parte del partito repubblicano resisteva ancora all’ascesa di un uomo che aveva sconfessato gli ostili vertici del partito; e raffinati analisti pronosticavano che, anche nel caso “dell’impossibile vittoria” il sistema democratico americano del ‘checks and balances” avrebbe raffreddato gli ardori anti-istituzionali del nuovo venuto, timori che qualcuno, alle nostre latitudini, liquidò sostenendo che in definitiva il capo della Casa Bianca altro non è che “il presidente di un Consiglio d’amministrazione a cui avrebbe dovuto render conto”. Ignoranza del potere di un capo di Stato americano, e dell’uomo che quattro mesi più tardi avrebbe conquistato la leadership della prima potenza mondiale. Non può dunque sorprendere più di tanto se un Trump ‘sprezzante del pericolo’ abbia infilato un dito nel meccanismo dell’impeachment: rottamatore delle regole della convivenza nazionale, refrattario al controllo parlamentare, critico dell’autonomia giudiziaria, nemico della stampa indipendente, con un’idea tutta sua della sicurezza nazionale, ‘The Don’ vede pochi limiti, anche istituzionali, alla sua battaglia per il mantenimento del potere, anche, come scrive il ‘New York Times’, “travalicando in modo spudorato le norme che definiscono il suo ruolo”. Non che altri presidenti americani non abbiano usato spionaggio, amicizie e influenza internazionale per i propri scopi. Ma senza la sfacciataggine dell’attuale presidente, che ora rivendica pubblicamente i suoi metodi, rovesciando sui rivali l’accusa di tradimento per aver rivelato i fatti, ammonendo sui rischi di una ‘guerra civile’, praticamente incitando i suoi elettori contro le istituzioni. Ma attenzione, c’è anche del metodo nelle apparenti improvvisazioni di questo presidente. Non solo Trump sa che l’impeachment è un’ipotesi molto fragile (vista anche la sudditanza dei senatori repubblicani nei suoi confronti), e che la procedura di messa in stato di accusa potrebbe trasformarsi in clamoroso boomerang per i democratici. Sa anche, il presidente, che la vicenda ucraina è a doppio taglio perché indebolisce anche e comunque il nemico Joe Biden per via di un possibile sospetto di conflitto di interessi per aver tutelato il figlio al servizio di una società petrolifera ucraina. Così, eliminando il rivale ‘centrista’, Trump spinge la scelta dei democratici verso candidati radicali, che, ne è convinto, spaventerebbero l’America per le loro politiche ‘socialiste’.

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