L'analisi

Argentina, cronaca di un default annunciato

Quando un Paese basa la (in)sostenibilità del suo programma sul finanziamento speculativo che arriva dall’estero, le conseguenze arrivano più presto che tardi

I mercati non incassano, la gente non mangia (Keystone)
30 agosto 2019
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A Buenos Aires l’hanno chiamato ‘riprofilamento’ del debito, dalla parola inglese ‘reprofile’, ma il suo vero nome è default. Una nuova inadempienza argentina agli obblighi contratti con i creditori. Questa volta sotto forma di un rinvio unilaterale delle scadenze dei titoli pubblici a breve termine decretato dal presidente Mauricio Macri. Fulmine a ciel sereno? Neanche un po’. Quando un Paese basa la (in)sostenibilità del suo programma economico sul finanziamento speculativo che arriva dall’estero, senza una strategia di sviluppo dell’attività reale, del consumo e degli investimenti produttivi, le conseguenze arrivano più presto che tardi.

Per sfortuna del presidente Macri, la bolla gli è scoppiata in faccia in piena campagna elettorale. Lui, testardo, continua ad attribuire la colpa della crisi all’opposizione e al risultato avverso delle primarie. Ma la realtà dice altro: il programma di salvataggio accordato tra l'amministrazione macrista e il Fondo monetario internazionale (Fmi) è l’ennesimo flop dell’organismo multilaterale e dei governi neoliberali che siedono a cadenza regolare alla Casa Rosada. Tale programma prevedeva quattro obiettivi principali, concordati tra i tecnici di Washington e Buenos Aires. Obiettivi che il maggior prestito nella storia dall’Fmi doveva contribuire a raggiungere: stabilità valutaria, discesa dell’inflazione, aumento dell’occupazione e del volume di attività, riduzione della povertà. Nessuno dei quattro indici è migliorato, anzi. Dalle primarie il Peso ha perso più del 30% del suo valore rispetto al dollaro americano. L’inflazione nel 2019 dovrebbe superare il 50%. La povertà ormai riguarda più di un terzo della popolazione. E la recessione dell’economia argentina, con relative conseguenze sull’occupazione, continua a peggiorare. E adesso?

Oltre al posticipo forzato delle scadenze dei titoli pubblici di breve termine (titoli della Banca Centrale che rendono lo stratosferico tasso del 78%), annunciato dopo che l’ultimo tentativo di rinnovo volontario è andato a vuoto, il governo di Macri ha manifestato la sua intenzione di negoziare con i creditori locali ed esteri una ristrutturazione del debito senza perdita di capitale per gli investitori. All’Fmi la richiesta di Buenos Aires è quella di allungare i termini per il rimborso dei 57 miliardi che l’organismo gli ha ‘gentilmente’ prestato nell’ambito dell’accordo che mirava a sostenere le aspirazioni elettorali di Macri. Fino a poco tempo fa l’ex presidente del Boca Juniors sognava di poter rimanere altri quattro anni in testa al governo. Ora le sue ambizioni si sono ridimensionate. In questo momento Macri sta puntando a un premio di consolazione: essere il primo presidente non peronista a concludere il suo mandato, cosa che in Argentina non è mai successo dal ritorno della democrazia nel 1983 (in realtà non succede dal 1928, ma per questioni di ‘golpe’). Già, perché i predecessori Alfonsín e De la Rua sono stati costretti a consegnare il potere in anticipo a causa delle gravi crisi economiche che avevano colpito il Paese durante i loro governi. La storia si ripeterà? È difficile fare previsioni, ma ciò che è sicuro è che la storia economica argentina, nonostante le sue ricadute cicliche, poco ha insegnato a buona parte della classe politica locale e ancora meno al Fondo monetario, sempre protagonista insieme al governo di turno delle varie catastrofi sociali (argentine e non solo).

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