L'analisi

Scusate, ma rimango 'obsoleto'

Vladimir Putin vede il tramonto della democrazia liberale. Ma il suo modello, fondato sull'autoritarismo, è fallimentare.

(Keystone)
17 luglio 2019
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Oddio, mi sento “obsoleto”. Tale è infatti la democrazia liberale secondo Vladimir Putin, e riguarda dunque anche chi a quella filosofia politica ancora crede. “Obsoleta”, ha sentenziato il piccolo zar russo nell’intervista al ‘Financial Times’: quindi una democrazia irrimediabilmente scaduta, arretrata, superata. Questa, nella testa del capo del Cremlino, sarebbe la fine che sta riservando la Storia (anzi, l’avrebbe già imposta) all’eredità dell’Illuminismo, eredità certo difettosa, ma garante unica del massimo di diritti individuali, istituzionali, politici e religiosi che si sono affermati nelle democrazie occidentali. E non è aria fritta.

Certo, quelle libertà vanno costantemente consolidate, ammodernate, difese. Troppo spesso soprattutto la politica le ha date per scontate, in particolare quando ha consegnato il timone dell’economia principalmente alle regole del mercato e della grande finanza, sempre più impoverendo il ruolo regolatore dello Stato, soprattutto in ambito sociale, anche con la complicità di una certa “sinistra” di governo (clintonismo e blairismo vi ricordano qualcosa?). Ma è per questo “obsoleta” la democrazia liberale? E quale sarebbe l’alternativa? Il modello “euroasiatico” sostanzialmente anti-democratico dei nuovi predicatori cui si ispira l’uomo di Mosca? La “democrazia illiberale” nuovo (anzi, vecchissimo) carburante del nazionalismo alla magiara (Orbán)?

Innanzitutto, da quale pulpito arriva la predica. Da Putin ex agente del Kgb che negli anni del regime sovietico era attivo protagonista del regime che per quasi mezzo secolo ha tenuto sotto sequestro metà dell’Europa al di là della cortina di ferro; che ha definito il crollo dell’Urss “la tragedia del secolo”, infangando le aspirazioni dei popoli che di quella “gabbia” vollero liberarsi; che come proprio modello politico confessa di avere “Pietro il Grande”, il creatore della Grande Russia (che in realtà guardò più a Occidente che ad Oriente). E ancora: il leader che occupa militarmente parte di altre nazioni (dalla Georgia all’Ucraina) violando il diritto internazionale e appellandosi al diritto storico, sulla base dell’autodeterminazione delle comunità russe locali (ma non vale per altre minoranze, per esempio i curdi lasciati alla mercé del dittatore siriano Assad e della Turchia di Erdogan); e sul piano interno, briglie cortissime all’opposizione, crisi economica, massima povertà nell’ultimo decennio, disuguaglianze massicce e stridenti, oligarchi (solo quelli amici) voraci approfittatori delle privatizzazioni e oggi grandi esportatori di capitali occulti (in uno studio firmato anche dall’economista di sinistra Piketty si legge: “C’è più ricchezza finanziaria detenuta dai ricchi russi all’estero – Svizzera compresa – che ricchezza posseduta in Russia dall’intera popolazione”). E si potrebbe continuare.

Ecco, coi suoi risultati, il modello putiniano. Ma se volete capirne di più, leggete queste affermazioni del suo principale consigliere politico, Vladislav Surkov, pubblicate dal giornale ‘Nezavis Gazeta’: questo modello consiste “in un popolo che dà fiducia solo al dirigente supremo” mentre quello occidentale “coltiva la diffidenza e la critica”; si appoggia anche “sul potere militare e poliziesco indispensabile e decisivo”; e, ancora, “questa filosofia già si fa strada nelle teste degli uomini politici occidentali” (sì, da Erdogan a Bolsonaro!). Certo, la maggioranza dei russi lo vota ancora, ma è forse così incomprensibile visti anche i metodi e i mezzi del Cremlino? Vabbè, io preferisco, e di gran lunga, rimanere “obsoleto”.

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