L'analisi

La patacca del secolo

Donald Trump lo ha battezzato nientemeno che “Deal of the century”

25 giugno 2019
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Con il consumato senso della sfumatura che lo contraddistingue, Donald Trump lo ha battezzato nientemeno che “Deal of the century”. Per i palestinesi la conferenza che si apre in Bahrein su iniziativa americana si riduce invece al principio “dollari in cambio di resa” e così, per una volta all’unisono, i due acerrimi nemici, gli estremisti islamisti di Hamas a Gaza e i laici dell’Anp, l’Autorità palestinese che governa (male) parte della Cisgiordania, denunciano un accordo nato morto e un maldestro tentativo di comperare la pace a suon di dollari. Sacrificando sull’altare del dio denaro terre, sovranità, indipendenza e diritto al ritorno dei profughi.

Sul piatto della bilancia Washington mette 50 miliardi di dollari di cui una metà, gestita però da una banca multilaterale, a favore dei palestinesi. L’altra andrebbe nelle tasche dei governanti libanesi, egiziani e giordani. Jared Kushner, genero di Trump, amico personale di Netanyahu e architetto della controversa iniziativa, assicura che i dollari permetterebbero di azzerare o quasi la disoccupazione tra i palestinesi, di ridurre la povertà e raddoppiare il Pil.

Tra i 179 progetti in cantiere, in particolare quello di un corridoio di collegamento tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Che non apparterebbero però a uno Stato indipendente. Business in cambio di diritti, sintetizza Abu Mazen, presidente dell’Anp, che considera inaccettabile la rinuncia a uno Stato sovrano con capitale Gerusalemme Est, peraltro già riconosciuto da oltre 130 Paesi, ma non dagli Stati Uniti e ovviamente Israele (oltre – tra gli altri – alla Svizzera).
Il curriculum stesso del marito di Ivanka non è certamente una garanzia per i palestinesi. Appare tutto fuorché super partes, anche per i suoi legami finanziari con le colonie di insediamento nei territori occupati, in particolare quella dei puri e duri di Bet El, nei pressi di Ramallah, a cui sono andati, come rivelato da un’inchiesta giornalistica, finanziamenti della sua Kushner Companies Charitable Foundation.

Di fatto nessuno si fa illusioni. Il vero obiettivo dell’amministrazione americana è quello di attirare nell’orbita filo-israeliana alcuni paesi arabi sunniti, consolidando il riavvicinamento saudita a Israele per tener vivo al tempo stesso il flirt tra il principe ereditario Bin Salman e gli Usa.

Mai come oggi la politica estera di Washington è apparsa tanto sbilanciata e vicina a quella oltranzista del governo israeliano. In una vignetta umoristica apparsa sul ‘New York Times’, un Trump che indossa la kippà e che porta occhiali da cieco si lascia trascinare dal guinzaglio di un cane guida dalle sembianze di Netanyahu e dal cui collare penzola la stella di David. Vignetta che nelle intenzioni del suo autore voleva denunciare la completa sudditanza dell’inquilino della Casa Bianca al premier dello Stato ebraico, ma che è stata considerata da molti antisemita (suscitando l’ennesimo dibattito sui limiti della satira) per la quale il quotidiano si è scusato, ponendo anche termine alla collaborazione dei suoi vignettisti “politici” tra cui il romando Patrick Chappatte, anche se estraneo al disegno incriminato.

A Manama, la capitale del Bahrein, per celebrare “l’accordo del secolo”, non saranno comunque presenti due pesi massimi: i russi e i cinesi. E mancheranno soprattutto quelli che avrebbero dovuto essere i veri beneficiari della manna (teorica) americana, i palestinesi. L’“accordo del secolo” si rivelerà così verosimilmente null’altro che l’ennesimo mesto flop in 70 anni di conflitto tra Israele e i palestinesi.

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