L'analisi

Fantasmi a Castelgrande

Una buona parte di cittadini svizzeri è inquieta per le tensioni internazionali

3 giugno 2019
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Sosteneva un sondaggio della scorsa settimana (Istituto Link) che una buona parte di cittadini svizzeri è inquieta per le tensioni internazionali (in particolare sul triangolo Usa-Cina-Russia), e che perlopiù ne attribuisce la ragione alla personalità e alle scelte politico-economico-strategiche di Donald Trump.

Questo tipo di rilievo statistico ha i suoi limiti, ma c’è da scommettere che in effetti nel nostro Paese la simpatia nei confronti del capo della Casa Bianca non sia strabordante, pur nella consapevolezza che gli Stati Uniti sono “imprescindibili”: prima potenza mondiale e secondo mercato di esportazione della Confederazione.

Così, una Bellinzona strablindata, quasi sequestrata e svuotata per motivi di sicurezza, ha inevitabilmente ‘assistito’ passivamente o infastidita alla visita del responsabile della diplomazia americana, Mike Pompeo, ex capo della Cia, esponente di un governo fra i più controversi della recente storia americana, la cui politica estera è in realtà condizionata dalla ideologia del neo-conservatore John Bolton, il consigliere per la sicurezza, falco tra i falchi, con alle spalle una responsabilità rilevante nel disastro iracheno, oggi capofila delle maniere forti nei confronti dell’Iran.

Già nel marzo di quattro anni fa, mentre gli Usa di Obama producevano il massimo sforzo per raggiungere insieme a russi, cinesi ed europei l’accordo sul nucleare iraniano, Bolton scriveva sul ‘New York Times’ un articolo intitolato: “Per fermare la bomba dell’Iran, bombardate l’Iran”.

Nel suo ufficio ha incorniciato il decreto con cui il presidente decise l’anno scorso il ritiro degli Stati Uniti dall’intesa internazionale con l’Iran, a cui gli altri firmatari sono rimasti fedeli almeno sulla carta, riconoscendo a Teheran il rispetto delle condizioni col blocco temporaneo dei preparativi per un suo arsenale atomico. Strappo a cui sono seguite le sanzioni, imposte praticamente al mondo intero, che stanno mettendo in ginocchio l’economia iraniana e dando fiato alla parte più anti-occidentale della Repubblica islamica.
Va presa dunque con estrema cautela l’affermazione fatta in Ticino da Mike Pompeo, secondo cui Washington “è disposta ad aprire un negoziato senza precondizioni”, una conferma, del resto, di quanto affermato recentemente da Trump: “Basterebbe una telefonata da Teheran”. Insomma, una replica dello schema nord-coreano.

Ma intanto, seguendo con sollecitudine i desiderata di Israele e Arabia Saudita, la Casa Bianca ha rivisto i suoi piani militari, che ora prevedono il possibile invio di 120’000 uomini in Medio Oriente, se dovesse crescere la “minaccia” iraniana. Prospettiva che inquieta persino i generali del Pentagono. Soltanto un massimo di pressione per imporre un tavolo negoziale? Un’altra imprevedibile svolta di Trump? Per ora si sa solo che l’ossessione degli artefici della diplomazia americana è il “regime change”, un radicale cambio di regime a Teheran, per farne, ha ripetuto ieri Mike Pompeo, “un Paese normale”. Diktat inaccettabile, replica l’Iran. Mentre fra gli uffici della Casa Bianca continua ad esserci quello di un certo Richard Goldberg, braccio destro di Bolton, il cui titolo ufficiale è (udite udite) “direttore del contrasto alle armi di distruzione di massa iraniane”.

Per ora, quindi, solo spiriti e fantasmi fra mura, torri e merli di Castelgrande.

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