L'analisi

Unione europea: le conseguenze del voto di domenica (forse)

Qualche appunto su com'è andata, cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere, fra frammentazione, euroscetticismo e casini vari.

(Keystone)
27 maggio 2019
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Le elezioni europee hanno sortito il risultato che bene o male ci si aspettava tutti: arretrano centrodestra e centrosinistra ‘storici’ (-80 seggi); gli euroscettici avanzano fino a prendersi un terzo del parlamento (+30), ma non sfondano. Aiutati dai seggi portati in dote da Emmanuel Macron, i liberali dell’Alde prendono 40 seggi e diventano cruciali per le decisioni future (sconfitto dall’ultradestra di Marine Le Pen, il presidente potrebbe così trovarsi paradossalmente a fare l’ago della bilancia in Europa). Poi ci sono i Verdi, che crescono ma solo in Nordeuropa (+20 seggi). Adesso cosa dobbiamo aspettarci?

Frammentazione

La maggiore frammentazione parlamentare riflette le rispettive tendenze nazionali, e rischia di paralizzare il parlamento su questioni fondamentali come il bilancio europeo e la gestione dei migranti. Ogni volta bisognerà cercare alleanze ad hoc.

Difficile, però, che gli euroscettici possano fare fronte comune contro la maggioranza europeista; l’internazionale nazionalista rimane un controsenso (ma guarda un po’). Molte sono infatti le linee di faglia fra le placche ‘sovraniste’: Salvini e Le Pen sono pro-Putin, populisti polacchi e svedesi non ne vogliono nemmeno sentire il nome; Alternative für Deutschland e xenofobi danesi sono iperliberisti, leghisti e lepenisti sono più vicini alla ‘destra sociale’ di fascisteggiante memoria; Salvini vorrebbe distribuire i migranti fra i vari paesi europei, gli altri gli ridono in faccia; e solo pochi auspicano esplicitamente la fine dell'euro e dell'Unione. A ciò si aggiunga il fatto che ciascuno siede in gruppi diversi, con il caudillo ungherese Viktor Orbán che addirittura ha ancora un piede – pur sospeso – nel Partito popolare europeo. E poi ci sono i rappresentanti del trionfante Brexit Party, che potrebbero pesare sul piatto europeo solo per pochi mesi. 

Ora il governo

Alcuni osservatori ritengono che questo risultato non sia poi così male, anzi: le divisioni ideologiche potrebbero finalmente politicizzare un dibattito troppo spesso sopito nel comodo giaciglio dei tecnicismi burocratici. Sarà. La prima battaglia si avrà per la nomina dei membri e del presidente della Commissione europea, il ‘governo’ insomma. Con il sistema dello ‘Spitzenkandidat’ (candidato di punta), ciascun partito europeo propone un suo candidato alla presidenza. Il Ppe ha proposto il tedesco Manfred Weber, i socialdemocratici l’olandese Frans Timmermans. Il primo sembra favorito dai risultati di domenica, ma dato che leader come Macron contestano addirittura la legittimità di votare su candidati espressi dalla legislatura precedente, la situazione è fluida (fuor d’eufemismo: parecchio incasinata).

A casa propria

Intanto ci si interroga anche sull’impatto di queste elezioni a livello nazionale, dato che spesso sono gli elettori stessi a viverle come un referendum sui loro governi. Così il primo ministro greco Alexis Tsipras, superato in spolvero dai conservatori di destra, ha già convocato elezioni anticipate che con ogni probabilità si terranno entro giugno. Intanto è stato sfiduciato anche il governo austriaco di Sebastian Kurz, ma più per gli scandali che hanno investito l'alleato Heinz-Christian Strache che per il risultato elettorale, tutt'altro che catastrofico.

Quanto alla Gran Bretagna, la premier Theresa May ha già salutato il governo nei giorni scorsi: spetterà al successore – fra i favoriti c’è il falco pro-Brexit Boris Johnson – trovare un accordo per fare uscire l’isola dal continente. Fatto sta che per ora l'unica bozza rimane quella di May, l'interlocutore europeo sarà in sabbatico fino all'autunno e le Europee hanno comunque mostrato un paese spaccato (ha stravinto Farage, d'accordo, ma l'aggregato delle forze europeiste ne controbilancia la maggioranza relativa).

Atteso, ma comunque clamoroso il rovesciamento degli equilibri in seno al governo italiano. La Lega e il Movimento 5 stelle si sono di fatto scambiati le posizioni di un anno fa: ora è la Lega ad avere il 34% dei consensi, mentre i grillini scivolano al 17%. A questo punto Matteo Salvini potrebbe forzare la mano, ponendo fine al governo e alla legislatura e anticipando il voto. In modo da scaricare i grillini – il cui leader, Luigi di Maio, avrebbe a quel punto i giorni contati – e magari tirarsi in casa le frattaglie dell’‘altra’ destra, quella fascistoide di Giorgia Meloni e quella bollita di Silvio Berlusconi (sempre che Sua Emittenza voglia accettare una simile umiliazione). Quanto a noialtri: l'affermazione di Salvini rischia di ritardare ulteriormente l'accordo con la Svizzera sulla fiscalità dei frontalieri, in merito al quale il Capitano ha già fatto capire di non volere scendere a compromessi. 

Viene in mente Ennio Flaiano: “Ho una tale sfiducia nel futuro che faccio i miei progetti per il passato”.

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