L'analisi

L'insofferenza verso i ricchi e l'impero romano che torna

Le 26 persone più agiate detengono un patrimonio equivalente a quello del 50% meno ricco del pianeta. E l'ostilità nei loro confronti cresce.

Il parco divertimenti privato fatto costruire a Sankt Moriz per l'addio al celibato del multimiliardario indiano Mukesh Ambani (Parco poi aperto al pubblico). Foto Keystone.
6 maggio 2019
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La messa in guardia non giunge solo dal fronte tradizionale della sinistra. Rainer Zitelmann, storico e giornalista tedesco, studioso vicino agli ambienti imprenditoriali, in un recente studio pubblicato in inglese (“The wealth Elite”) analizza il fenomeno della crescente ostilità nei confronti dei ricchi.

Si tratta di un’analisi comparata in Francia, Germania, Stati Uniti e Regno Unito. Il mondo anglosassone continua a essere più indulgente nei confronti dei Paperoni, ma l’ostilità è in crescita ovunque. Se non sorprende che il 60% dei francesi (indipendentemente dal loro livello educativo) chieda un’imposizione fiscale sostanzialmente punitiva per i multimilionari è certamente inedita la percentuale di tedeschi (1 su 2) per i quali se il futuro della Terra è tanto cupo è per l’accumulazione eccessiva di ricchezza. “In una manifestazione contro il caro affitto svoltasi a Berlino – afferma lo stesso Zitelmann – ho sentito scandire slogan del tipo: uccidete il vostro proprietario”! Ma anche negli Usa, dove la senatrice Elizabeth Warren chiede un aumento massiccio delle aliquote fiscali delle élite o in Gran Bretagna dove assistiamo a una radicalizzazione del partito laburista, l’esistenza di super ricchi appare sempre più indigesta.

Difficile capire quale sia il sentimento dominante da noi in Svizzera, ma l’addio al celibato del figlio del multimiliardario indiano Mukesh Ambani (la festa celebrata nello scorso mese di febbraio a Sankt Moritz con tanto di giostra privata per gli 850 convitati sarebbe costata almeno 20 milioni di franchi) sembra indicare che siamo ormai entrati nell’era dell’opulenza più sfrontata. I dati pubblicati dall’Ong Oxfam lasciano d’altronde poco spazio alle interpretazioni: la concentrazione di ricchezza appare indiscutibile e fuori controllo. Basti pensare che i 26 più ricchi del pianeta (dagli americani Bill Gates o Jeff Bezos al cinese proprietario di alibaba.com Jack Ma) detengono un patrimonio equivalente a quello del 50% meno ricco della popolazione mondiale, ovverosia 3,8 miliardi di persone.

Nell’ormai famoso saggio “Il capitale nel XXI secolo” l’economista francese Thomas Piketty sottolineava quanto il fenomeno delle disuguaglianze sociali fosse legato alla maggior rendita del capitale rispetto al lavoro. Come dire che i ricchi diventano automaticamente più ricchi. Il crescente baratro di reddito non ci pone unicamente di fronte a una questione etica come quella che già troviamo nella tradizione umanistica e ancor prima religiosa (il messaggio cristiano ne fa costantemente riferimento dalla parabola di Lazzaro nel Vangelo di Luca a quella dei lavoratori della vigna in quello di Matteo). L’esistenza di un’élite tanto ristretta e potente, mina i fondamenti della democrazia e della stabilità. Il “tuffo storico” che ci propone lo studioso californiano Edward Watts è al riguardo particolarmente pregnante. Nel suo recente libro “How Rome fell into tyranny” Watts sostiene che la Repubblica Romana fu vittima delle crescenti disuguaglianze tra una nobiltà accecata dai propri privilegi e un popolo che non sapeva più cosa farsene di istituzioni teoricamente rispettabili (senato, magistratura, assemblea del popolo). Il tentativo di riforme avviato dai fratelli Gracchi fu soffocato nel sangue dalle stesse élite. Il caos che ne seguì sfociò nella morte della Repubblica e nella proclamazione dell’Impero. Con una forzatura storica, potremmo dire che vinse in fondo il partito dell’ordine. Mutatis mutandis, la storia sembra in parte ripetersi nelle nostre democrazie che i crescenti privilegi in mano ai più facoltosi stanno progressivamente svuotando di significato. 

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