L'analisi

Macron e i gilet gialli: benzina sul fuoco

Il presidente concede, ma non cede. Però i Francesi preferiscono ancora i sanculotti all’enfant prodige

((Keystone))
26 aprile 2019
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“È una rivolta?” “No, sire, è una rivoluzione”. Toccò al duca di Liancourt sorprendere Luigi XVI, che dalla dorata Versailles non capiva cosa significasse davvero la presa della Bastiglia. Difficile pensare che quella dei Gilet gialli – variegata carovana di genti stanche e impoverite, affiancate dal consueto coefficiente di spaccavetrine – sia davvero una rivoluzione. Di certo, però, ha preso alquanto di sorpresa il presidente Macron.

Quando se li è visti spuntare sulle rotonde di una Francia impoverita e dimenticata, l’Eliseo ha pensato che si trattasse dei soliti esagitati. Bloccare il traffico per le accise sulla benzina e le multe, questa poi: difficile prenderli sul serio. Poche settimane dopo – era il 19 novembre – quelle sgargianti giacchette di sicurezza avrebbero invaso Parigi e altri centri. Un’impresa sorprendente anche per i suoi partecipanti: un gruppo mutevole e privo di gerarchie, ma capace di usare le piazze dei social per riempire quelle reali (e metterle a ferro e fuoco, in alcuni casi).
La reazione del governo è stata lenta e confusa. All’inizio Macron si è nascosto dietro al primo ministro Édouard Philippe, che ha promesso il pugno duro coi teppisti (da allora, alle violenze di certi manifestanti si sono aggiunte quelle di alcuni poliziotti).

Il tentativo di un compromesso sulle accise è arrivato troppo tardi: quando ormai i Gilet avevano dalla loro numeri impressionanti di sostenitori. Ancora infatuati dalla monumentale drammaturgia repubblicana, molti francesi hanno sposato la narrazione dei sanculotti lanciati contro il despota. E pazienza per i disordini, gli episodi di razzismo e di antisemitismo: in un movimento ‘aperto’ è pur possibile che ci siano degli infiltrati.

Il problema è che per dialogare servono interlocutori; i Gilet gialli, invece, rifiutano leader e hanno impallinato chiunque pretendesse di parlare a nome loro. Col risultato che le rivendicazioni si fermano a una lista di tutto e di niente, dalla democrazia diretta al rimpatrio degli immigrati senza diritto d’asilo, dalla fine delle indennità presidenziali a “strumenti adeguati per la psichiatria”. Non potendo parlare con qualcuno, Macron ha scelto di parlare con tutti: è stato il ‘Grande dibattito nazionale’, estenuante esercizio di parresìa collettiva.

Ieri, dopo mille anticipazioni, sono arrivate le concessioni: sgravi per dare ossigeno alla classe medio-bassa, più attenzione alle pensioni e ai servizi nelle aree depresse. Ma niente democrazia diretta e nessun passo indietro sull’abolizione della patrimoniale, che i Gilet definiscono “regalo ai ricchi”. Dopo mesi di guerra di posizione, scommettendo sul progressivo logoramento dell’avversario, Macron ha dunque cercato la tregua, ma senza stravolgere la sua strategia politica.

Intanto però le manifestazioni continuano ogni sabato. E mentre i sondaggi dicono che il gradimento per l’Eliseo è risalito solo fino al 25%, un 52% dei francesi simpatizza ancora coi Gilet. Non sarà una rivoluzione, sire, ma come rivolta non scherza.

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