L'analisi

Francia, tra rivolta e prove di dialogo

Parte oggi il 'Grand Débat' promosso dal presidente Emmanuel Macron. L'obiettivo è quello di sondare il Paese reale

Altro sabato di proteste in tutta la Francia (Keystone)
14 gennaio 2019
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È stato battezzato ‘Le Grand Débat’ ma al futuro nascituro è già stato appioppato l’epiteto ‘casse tête’, rompÈ stato battezzato ‘Le Grand Débat’ ma al futuro nascituro è già stato appioppato l’epiteto ‘casse-tête’, rompicapo.

La Francia di Macron, da oggi sarà impegnata in un esercizio di democrazia inedito ma dai contorni incerti: un dibattito che vedrà impegnati tutti i cittadini che lo vorranno, nel quale individui e associazioni potranno manifestare rivendicazioni e pure proporre soluzioni, per altro già in parte raccolte in migliaia di comuni nei ‘cahiers de doléances’, messi a disposizione in migliaia di municipi.

Prassi senza precedenti gravida di rischi: come sciogliere il nodo della cacofonia delle richieste: nei ‘quaderni di lamentele’ si possono già leggere temi quali la rivalorizzazione dei salari ma anche la reintroduzione della pena di morte, la fine del matrimonio omosessuale o l’introduzione del ‘Ric’ il Referendum di iniziativa cittadina).

Come rispondere in modo efficace e trasparente a rivendicazioni tanto disparate? Il governo stenta a fare chiarezza. Il movimento dei gilet gialli rimane in parte un’incognita: sfugge alle maglie sindacali, ha rivendicazioni progressiste ma pure importanti componenti che lo inseriscono nella tradizione della destra populista manifestatasi nel dopoguerra con il movimento poujadista. Anche la sua reale forza è tema di dibattito: a manifestare sono scese in strada in realtà frange molto marginali della popolazione (meno dell’1%), ma beneficia di una forte visibilità (grazie in particolare ai social media e alle televisioni di informazione continua) e di una popolarità non indifferente. Si è espresso in parte in modo pacifico, in parte con violenza che ha pochi precedenti: appelli al linciaggio di ministri e deputati, minacce di morte, di stupri, pestaggi di giornalisti, incendi, devastazioni di negozi, monumenti, mezzi di trasporto condivisi.

Spesso nel silenzio complice di chi, a destra e a sinistra, vuole capitalizzarne i benefici. I gilets jaunes imputano al governo la mancanza di dialogo, ma poi lo rifiutano, mentre la valanga di fake news veicolate dai social non aiuta a capire.

I fatti vengono sommersi dalla disinformazione: come lo ricorda il sociologo Olivier Galland la Francia è uno dei paesi più egualitari, non vi è stato un aumento della povertà, vi è un sistema sociale tra i più forti, però vi è stagnazione, una contrazione del reddito disponibile tra le categorie più modeste. E soprattutto, come avrebbe detto il sociologo Zygmunt Bauman, nella società post industriale vi è una diffusa endemica impossibilità di immaginare un futuro diverso e migliore. Lo scontro ideologico, afferma lo studioso Alexandre Viala, vedrebbe confrontate una ‘democrazia epistocratica’ incarnata Macron e che ci propone una visione ottimistica e moderata basata sulla ragione e sul ruolo degli esperti, e una ‘democrazia del risentimento’ secondo cui la volontà della maggioranza deve aver il sopravvento. Versione quest’ultima che si rifà idealmente alla volontà generale di Jean Jacques Rousseau. Il quale tuttavia aveva ben capito che se il popolo vuole il proprio bene, non sempre è in grado di capire quale esso sia. Tema molto insidioso e di estrema complessità che richiede equilibrio di analisi e ascolto delle diverse posizioni.

Il premier Edouard Philippe promette apertura e dialogo. Vedremo se la controparte dopo le proteste saprà finalmente mettersi in una posizione costruttiva. Per il bene del paese e certamente anche dell’Europa.

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