L'analisi

Curdi usati e poi traditi

Per i curdi non ci sono praticamente tregue. Per loro le disgrazie sono perenni. Con loro la storia è stata più che matrigna, è stata crudele.

27 dicembre 2018
|

Dice un antico adagio che in Medio Oriente la violenza è sempre operante, semmai concede qualche tregua, spostandosi a turno da una comunità all’altra. L’unica comunità che si può escludere da questa massima è rappresentata dai curdi. Per loro non ci sono praticamente tregue. Per loro le disgrazie sono perenni. In effetti, dagli accordi Sykes-Picot (un secolo fa, coi Trattati di Sèvres, quando inglesi e francesi ridisegnarono a tavolino sulle macerie dell’impero ottomano, a loro comodo e vantaggio, i confini di gran parte della regione) ad oggi con i curdi la Storia è stata più che matrigna. È stata crudele. Certo, c’è il Kurdistan della piena autonomia del Nord Iraq, conquistata con le armi, ma il cui futuro promette l’ennesimo tragico rovescio una volta che a Baghdad dovesse consolidarsi un potere centrale (prima o poi accadrà); e c’è il Kurdistan del Nord siriano, dove i combattenti dell’Ypg si sono ritagliati un territorio autogestito, pagandolo a caro prezzo, con feroce guerra contro lo Stato Islamico, costata loro migliaia di morti.

Lotta contro l’Isis che beffardamente Donald Trump ritiene erroneamente “già vinta” e che senza questo contributo sarebbe risultata comunque assai più lunga, sanguinosa e incerta. E con quale moneta i curdi vengono ripagati? Col tradimento. Con l’abbandono. Perché questo significa in sostanza il ritiro del piccolo contingente americano deciso dal capo della Casa Bianca. Piccolo ma sufficiente, sul piano politico-simbolico, a contenere gli appetiti di tutti gli altri protagonisti della crisi. Per i curdi, la solita storia. Ma stavolta c’è un motivo in più per spiegare la minaccia di annientamento sull’Unità di Protezione Popolare (questo il significato di Ypg): si tratta infatti di un esperimento democratico forgiato nella lotta e che vede compartecipi curdi ma anche arabi, assiri, circassi, più altre minoranze. Un modello unico, nell’area mediorientale, di convivenza, di giustizia sociale, di dimostrata uguaglianza delle donne, e di governo laico. Progetto ideologicamente poco gradito dalle parti di Washington, e del tutto osteggiato dagli altri interessati: la Siria del boia Bashar al-Assad (che mira alla ricomposizione territoriale della nazione), l’Iran (si allontana da quel fronte il suo principale nemico), la Russia (ora sente di avere le mani libere come ‘potenza indispensabile’), e soprattutto la Turchia di Erdogan: deciso a “regolare i conti” anche con i curdi d’oltreconfine, ‘manu militari’ se occorre, per azzerare qualsiasi progetto irredentista in grado di contaminare la già repressa minoranza curda di Turchia.

Al dittatoriale neo-sultano del Bosforo, Trump concede dunque un’altra chance di riagganciarsi alla Nato dopo la sbandata pro-russa e pro-iraniana. Disegno contestato dai suoi generali, come dimostrano le dimissioni del suo ministro della Difesa Jim Mattis: uno degli ultimi “adulti di guardia” alla Casa Bianca, come li ha definiti il ‘New York Times’, ancora in grado di “separare l’America dal caos”.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE