L'analisi

La sindrome di Stoccolma

L'avanzata dell'estrema destra che inquieta l'Europa

10 settembre 2018
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Uno dei peggior risultati dei socialdemocratici in oltre un secolo di storia, e il grande balzo di un’ultradestra che sotto il vessillo dell’anti-immigrazione sfiora il secondo posto nella graduatoria dei partiti. Non è il risultato più temuto: complessivamente i partiti della sinistra, del centro, rappresentano pur sempre una diga contro il populismo. E tuttavia, pur non sfondando, il muro del 20 per cento, gli Sd (Democratici Svedesi) di Jimmie Akesson, che in un battibaleno hanno smesso i panni neo-fascisti (e in parte neo-nazisti) per indossare quelli più aggiornati del sovranismo, ottengono un risultato che inquieta.

Questo dicono i primi scrutini delle schede, e la notte non esclude sorprese. Certo, è escluso che l’ultradestra possa entrare in governo. Lo avevano promesso prima del voto anche gli schieramenti del centro-destra, che insieme potrebbero contrastare il lungo primato socialdemocratico sul quale è stato edificato l’invidiabile modello che ha saputo coniugare garanzie sociali e crescita economica. A Stoccolma ci sarà un governo di coalizione anti-Sd. Ma lo squarcio prodotto dallo schieramento degli Svedesi Democratici – che negano il diritto all’asilo, pretendono l’espulsione dei rifugiati, li ritengono pericolosi per il mantenimento dello stato sociale, e reclamano l’abbandono dell’Unione europea – questo squarcio è troppo profondo per essere risolto con una semplice, anche se necessaria, operazione di alchimia parlamentare.

Si sta infatti parlando della Svezia, fino a ieri paese simbolo dell’accoglienza, che proporzionalmente ha accolto più rifugiati dal Medio Oriente (anche più della Germania), e che sembrava poter reggere virtuosamente il confronto con la parte d’Europa che preferisce i muri. In realtà il risultato di ieri è tutt’altro che una sorpresa. Da tempo gli osservatori più attenti avevano segnalato che il governo socialdemocratico di Stefan Löfven (insieme agli alleati del Partito dei Verdi) sulla politica di massiccia accoglienza (250mila rifugiati su 11 milioni di abitanti) aveva commesso l’errore di puntare più sull’assistenza che su una laboriosa integrazione. Ai nuovi arrivati sono stati garantiti soprattutto i benefici del welfare, trascurando quelli dell’inserimento nel mondo del lavoro. Non semplice in una piccola nazione. Ma così si sono radicati fenomeni di estraneità, di comunità chiuse e poco controllate, nonché di diffusa piccola criminalità. Un favore alla destra radicale.

A otto mesi dalle elezioni europee, “la sindrome di Stoccolma” allunga comunque la faglia sovranista. E la battaglia fra le due Europe si preannuncia ancora più incerta e pericolosa. I populisti raccolgono consensi facili e a piene mani. Mentre i loro avversari appaiono incapaci di organizzare una controffensiva che non sia fatta solo di parole. Con i suoi due principali leader (Macron e Merkel) visibilmente deboli sul piano interno, e con alleati silenti e ostili a riforme incisive sul piano istituzionale, fiscale e sociale. Uno sciame di problemi che il prossimo maggio rischia di produrre un autentico sisma.

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