L'analisi

La destra nel deserto

Ne hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato terza repubblica. Lo scenario generato in Italia dal risultato delle elezioni del 4 marzo si conferma

3 agosto 2018
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Ne hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato terza repubblica. Lo scenario generato in Italia dal risultato delle elezioni del 4 marzo si conferma, a cinque mesi di distanza, di chiarezza sconcertante: l’insediamento al potere di un’accolita di rancorosi incapaci e impudenti, che tuttavia rispecchia alla perfezione lo stato di un Paese che in così larga misura vi si è affidato (e continua a farlo, se i sondaggi sono attendibili) e interpreta senza possibilità di fraintendimenti lo spirito dei tempi.

La sua ispirazione di destra è certa, ma di una destra che si pretende nuova, indisponibile ai rituali di un liberalismo stucchevole e ingessato. Rivoluzionaria, piuttosto. E qui nasce il problema. Anzi due: uno, al suo interno, di conquista della leadership, attraverso una radicalizzazione ideologica, del linguaggio e della prassi di governo; l’altro di come e quanto costerà questo passaggio a una democrazia da sempre convalescente come quella italiana. Tanto, troppo, questo lo si può già dire.
Una destra nuova, dunque, ma non abbastanza per produrre un linguaggio che non rinvii a quello ben noto del fascismo storico: il frasario di Matteo Salvini attinge a piene mani, per forma e contenuti, a quello mussoliniano. Ma neppure tanto nuova da potersi facilmente emancipare dall’ormai patetica figura che si pretende suo “padre nobile” in virtù del fatto di esserne stato a lungo il bancomat. E questo spiega il conflitto con Berlusconi, manifestatosi nella forma più grottesca attorno alla sconsiderata candidatura di Marcello Foa alla presidenza Rai.

Grottesca e paradossale, poiché la distinzione tra Salvini e Berlusconi si rivela in larga parte surrettizia a chi appena ricordi il contributo di delegittimazione delle istituzioni apportato da Berlusconi medesimo quando sedeva al loro vertice. In altre parole, se Salvini non vale niente (e cerca di sopperirvi con la ferocia), non è dal niente che viene. E soprattutto si giova di un contesto, interno e internazionale, più che fertile per la malaerba che va disseminando, nel quale le peggiori pulsioni autoritarie mietono consensi grazie all’allure anti-sistema che si sono date, anche per merito di un sistema informativo pigro e connivente.

Un contesto al quale, in Italia, concorrono l’inettitudine dei 5Stelle e l’irrilevanza, progettuale e di discorso, della sinistra. Lasciata nel giusto angolo in cui si trova la seconda, va detto che quella dei grillini è una subalternità a Salvini più che colpevole. Annunciatisi come portatori del cambiamento, si sono accomodati alla più trita consuetudine di occupazione di poltrone quali che fossero, e hanno avallato – fino a rivendicare come proprie, e probabilmente lo sono – le più indecenti espressioni e i diktat del ministro dell’Interno. Avendo imparato da Grillo che un bel casino è lo schermo più sicuro del proprio fallimento.

Nel deserto che hanno chiamato terza repubblica, le parole di ragione sono subissate dalle loro urla. Inconsapevoli (o falsamente ignari) di essere responsabili di venirne fuori, ora che il potere tanto reclamato è nelle loro mani. La traversata non sarà breve…

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