L'analisi

Davos, i malintesi del libero mercato

“I mercati vanno bene, è la politica a vivere ora una sua recessione”

(Keystone)
29 gennaio 2018
|

“I mercati vanno bene, è la politica a vivere ora una sua recessione” sintetizza lo studio del Credit Suisse presentato a Davos. È però probabile che una cosa spieghi l’altra: se i grandi del pianeta non riusciranno a sottrarre il capitalismo alla dittatura della finanza, il mondo rischierà di essere risucchiato nel vortice dei nazionalismi e dei populismi. Sarebbe fuorviante mettere sul banco degli imputati, con semplificazione cara agli slogan, la globalizzazione tout court.

L’apertura dei mercati in effetti ha storicamente creato ricchezza. Ma la globalizzazione incontrollata, senza argini porta a quegli squilibri che oggi alimentano disuguaglianze, frustrazione e politiche xenofobe. Donald Trump brandisce l’arma del protezionismo in un tripudio patriottico. Uno specchietto per le allodole: in realtà Washington oggi è contraria unicamente a una globalizzazione che non avvantaggi gli Usa. Trump punta il dito contro il dumping salariale in Asia, proprio mentre illustra al Wef il suo piano di abbassamento delle aliquote delle società (dal 35 al 21%) vero e proprio dumping fiscale con conseguenze facilmente immaginabili a livello globale. Ci vuole la cieca ammirazione dell’anfitrione Klaus Schwab per bersi la spremuta ideologica offerta dall’illustre ospite.

Meno ingenui di fronte ai proclami trumpiani gli analisti: l’innalzamento tariffario sulle importazioni di pannelli fotovoltaici cinesi colpirà ad esempio inevitabilmente il settore delle energie rinnovabili mettendo a rischio negli Stati Uniti 23mila posti di lavoro, tra addetti alla vendita e alle installazioni. Anche le maggiori tariffe doganali sulle lavatrici rischiano di sortire effetti negativi negli Usa, perché si applicano a tutte le componenti delle coreane LG Electronics o Samsung che vengono poi assemblate… nelle fabbriche americane.
E il rischio di rappresaglie commerciali, se Washington dovesse estendere la logica protezionistica nel campo dell’acciaio e alluminio, appare molto concreto.

Il principio dell’America First spalanca le porte alle guerre commerciali se non – è il senso del duro intervento di Angela Merkel – alle guerre vere e proprie. La storia dovrebbe insegnarci che è meglio star lontani dall’egotismo nazionalista, ha ammonito la cancelliera. La linea favorevole a una globalizzazione controllata e coordinata su un piano multilaterale, è osteggiata da Trump, ma raccoglie ormai ampi consensi tra i leader politici, dal presidente francese Macron con il suo liberalismo sociale, sorta di sintesi tra welfare, innovazione tecnologica e crescita, fino al premier indiano Narendra Modi, a capo di quello che è ormai il paese più popoloso del pianeta e presto tra le prime cinque potenze economiche mondiali. È stato significativamente quest’ultimo ad abbinare la globalizzazione al rispetto della “terra, nostra dea”.

Parole, certo. Ma pur sempre espressione di una consapevolezza viepiù diffusa: la mondializzazione non può essere confinata all’economia, ma estesa alla protezione dei lavoratori, all’equità fiscale (senza la quale le delocalizzazioni sottrarranno posti di lavoro dai paesi con un forte welfare), alla protezione dell’ambiente. Tutti programmi che comportano costi. E dei quali in troppo pochi sono parsi afferrare l’urgenza. Forse anche perché a Davos il Gotha dell’economia e della finanza era troppo impegnato a pasteggiare a Champagne per celebrare i nuovi primati della Borsa.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔