L'analisi

Merkel nella Storia, Germania nell’instabilità

26 settembre 2017
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Entra nella Storia, Angela Merkel, ma non è un trionfo. Cancelliera per la quarta volta, eppure è un record amaro. La festa è altrove.

È fra leader e militanti della destra radicale, non solo xenofoba, ma con forti striature di inquietanti nostalgie del passato e dichiarate simpatie neonaziste: il leader dell’Alternative für Deutschland (Afd) che conquista il terzo posto nel panorama politico della super-potenza europea e che vuole ridare l’onore a generali e soldati tedeschi della Seconda guerra mondiale, quindi Ss comprese; e che nemmeno richiama o sconfessa uno dei suoi principali leader regionali che ha definito “vergognoso” il memoriale berlinese dell’Olocausto. Un negazionismo che impasta quel 13 per cento di voti con cui la destra estrema entra massicciamente al Bundestag.

Siamo ben oltre il populismo gonfiatosi nell’ultimo decennio al di qua e al di là dell’Atlantico. Qualcosa di assai più preoccupante. La Germania è la Germania, il suo passato non è del tutto passato, così come le inquietudini di vicini e alleati, convinti che dopo la riunificazione bisognasse europeizzare la Germania per evitare che si germanizzasse l’Europa.

Certo, non pochi analisti tedeschi già parlano di fenomeno destinato a sgonfiarsi, e del resto non ci sono solo le ombre del passato nell’affermazione dell’Afd, ma anche una questione sociale.

Lo aveva previsto ’Die Zeit’ alla vigilia del voto, analizzando i possibili effetti della mondializzazione su una parte non piccola (soprattutto nei Laender ex comunisti) della società tedesca: per essa, ammoniva il giornale, si profila unicamente la percezione della perdita di importanza e il timore della disoccupazione, e vive l’internazionalizzazione della Germania esattamente come i tedeschi dell’Est hanno vissuto la riunificazione, “migranti nel proprio paese”. Quindi ancor più determinati e feroci nella contestazione alla generosità di Frau Merkel, che ha aperto il paese a un milione di profughi siriani. Nobiltà forse anche in parte calcolata di fronte al collasso demografico del paese, e che comunque l’“eterna cancelliera” paga con la perdita di otto punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni.

Così, Merkel che per ben due volte aveva “cannibalizzato” i suoi partner socialdemocratici della Grosse Koalition, è a sua volta fortemente corrosa dai numerosi consensi passati dal suo schieramento a quello della “destra più destra”. Voti in fuga anche dall’Spd, ormai al suo minimo storico. Una socialdemocrazia che appunto nell’abbraccio con la Kanzlerin si è snaturata fino al punto di risultare un oggetto misterioso, privo di identità, ponendo oltretutto il già smunto candidato Schultz nella impossibile condizione di dover combattere la donna di cui ha pienamente condiviso la politica in posizione subalterna.

Né l’esito del voto tedesco sembra in grado di promuovere quello scontato rilancio dell’integrazione europea che dovrebbe basarsi sul ritrovato motore franco-germanico. Nella difficile formazione del prossimo governo, la cancelliera deve cercare di imbarcare Verdi e Liberali dell’Fdp, usciti rinvigoriti dalle urne. Due potenziali partner profondamente divisi. Con i liberali ostinati nel chiedere la continuità del rigore economico, e apparentemente inossidabili nel respingere i nuovi, ventilati progetti di integrazione già discussi da Berlino e Parigi. Non sarà facile mettere insieme questa cosiddetta “coalizione Giamaica” (dai colori dei tre partiti). E ancor meno farla funzionare. È perciò alto il rischio di instabilità, condizione estranea alla Germania del dopoguerra. È in questa foschia, fra queste ombre, per la Germania e per l’Europa, che Angela Merkel agguanta il suo storico primato.

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