L'analisi

Se gli ‘umanitari’ sono il problema

3 luglio 2017
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È lunga la catena di cause, responsabilità e temporanei esiti della questione profughi, tornata ad essere ‘emergenziale’ con più di quindicimila sbarchi sulle coste italiane in meno di una settimana.

Emergenza umanitaria. Ma anche politica ed europea. Di quella parte di Europa che davvero si illude di aver superato la cosiddetta minaccia populista se non trova, come finora non ha trovato, una politica condivisa su come affrontare e governare il massiccio afflusso di migranti sulla sua frontiera meridionale.

Non basta certo la vittoria elettorale di un Macron europeista per decretare la fine dell’eurofobia; neppure basterà quella di una Merkel che non molti mesi fa sembrava doversi schiantare sotto il peso di quasi un milione di profughi lasciati entrare in Germania; e nemmeno la ipotetica rimessa in moto della locomotiva franco-tedesca sarà sufficiente a trascinare l’Ue fuori dalla palude della sua lunga crisi se, insieme al già problematico rilancio economico e sociale, non si dovesse disincagliare il vascello europeo dal dramma dei migranti.

Che non è tanto, o soprattutto, una questione di numeri. Prendiamo l’esempio più vicino e “caldo” e attuale, quello italiano. Di recente l’Istat, il più autorevole istituto statistico della Penisola, ha certificato che la popolazione straniera nella Repubblica è sostanzialmente stabile dal 2014; mentre c’è chi ha potuto autorevolmente sostenere che, cifre alla mano, quando si parla di ‘invasione e sostituzione etnica’, si parla in realtà di uno 0,03 per cento all’anno. Il problema è dunque un altro. Meglio: i problemi sono altri. E insieme contribuiscono a diffondere – complice una propaganda senza scrupoli – una percezione di inquietudine in vasti settori di opinione pubblica, che al fenomeno migratorio attribuisce ormai la responsabilità di molta parte dei propri problemi. Alla paura non è quindi facile o utile rispondere con cifre, dati di fatto e pragmatici ragionamenti. Né le origini del fenomeno (guerre, dittature, fame), né i valori fondanti della democrazia occidentale (come in passato fu per i fuggiaschi da paesi ex sovietizzati che oggi sono i primi ad alzare nuovi muri), né le prediche dei demografi (il vecchio continente bisognoso di forze nuove), e nemmeno alcune responsabilità storiche dell’Occidente (dal colonialismo alle recenti ‘guerre sbagliate’) riescono a fare da calmiere là dove è in gioco anche un’altra percezione ampiamente alimentata ad arte: il pericolo della nostra rovinosa disintegrazione identitaria.

Presa in questa tenaglia, l’Europa paga inoltre tutta la sua debolezza politica. Deve sborsare miliardi e scendere a patti col liberticida Erdogan affinché si tenga in Turchia milioni di profughi della macelleria siriana; si pente di aver provocato l’eliminazione anche fisica di un dittatore come Gheddafi; in Libia scommette sul governo di Tripoli in contrapposizione a quello di Tobruk mentre le coste da cui partono barconi e disperati sono formalmente sotto il ‘controllo’ del suo alleato Fayez al Serraj; fantastica di inviare truppe al confine fra Niger e Libia per bloccare i flussi subsahariani; e nemmeno riesce a trovare l’accordo per il ricollocamento negli altri 25 paesi di 120’000 richiedenti l’asilo sbarcati in Italia e Grecia (una media di cinquemila profughi a nazione). E intanto fa credere che oggi il vero grande unico problema sia quello delle… organizzazioni umanitarie.

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