L'analisi

Era impossibile e lo ha fatto

8 maggio 2017
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La diga ha retto. L’estremismo con la sua onda travolgente di disprezzo e brutalità esce sconfitto dalle urne, pur raccogliendo un terzo dei consensi.

Vince, in modo netto malgrado qualche inquietante scricchiolio, la Francia del fronte repubblicano che dall’affaire Dreyfus fino alla vittoria di Jacques Chirac nel 2002 passando dal poujadismo degli anni 50, gli elettori hanno contrapposto alle derive illiberali.

Emmanuel Macron, 39 anni, diventa il più giovane capo dello Stato dai tempi di Napoleone Bonaparte. Trionfa grazie a uno straordinario cocktail di talento (in un anno ha creato un nuovo movimento che ha sbaragliato il vecchio establishment) e di fortuna (il leader del centrodestra François Fillon destinato alla vittoria, caduto per il “Penelopegate”, l’affaire del presunto impiego fittizio della moglie). Favorito certamente anche da un sistema elettorale a ghigliottina, che consente solo ai primi due del primo turno, di giocarsi la poltrona all’Eliseo.

Il tentativo di normalizzazione (“dédiabolisation”) del Fronte Nazionale è naufragato sull’ultimo scoglio: la rovinosa prestazione della sua candidata al dibattito televisivo ha gettato nello sconforto anche i suoi seguaci creando una profonda inquietudine nel Paese. Improvvisamente, di fronte a un elettorato incredulo, “Marine” era ritornata ad essere una “Le Pen” – nome significativamente scomparso dai manifesti elettorali – lanciandosi come un dobermann al collo dell’avversario. La Francia ha aperto gli occhi e ha avuto paura.

“Non sapevano che era impossibile, allora lo hanno fatto”: ripeschiamo una frase del grande Mark Twain per sintetizzare il percorso del nuovo presidente. Emmanuel Macron e il suo movimento hanno vinto alla grande una sfida che pareva irrealistica. Un po’ di spavalderia e lo sguardo ben proiettato al futuro, ignorando il retaggio storico della quinta repubblica che ha blindato il Paese, nel bene e nel male, in uno schema destra-sinistra. Una contrapposizione desueta secondo Macron: con lui la Francia si avventura per la prima volta in un paesaggio in cui svetta il centro politico. Obiettivo: un consenso trasversale, una politica che possa conciliare socialità ed economia, flessibilità e protezione, interessi nazionali e contesto continentale.

Nel suo primo messaggio ai francesi, il più giovane presidente del mondo occidentale, si è ben guardato dall’esternare quella baldanza che gli era sfuggita nei festeggiamenti del primo turno. Con gravità si è detto all’ascolto della collera e dei dubbi reali e giustificati che gli elettori hanno manifestato, sia optando per posizioni radicali (a destra e a sinistra) sia astenendosi o inserendo nell’urna un numero enorme e senza precedenti di schede bianche (quattro milioni). Ha parlato di difesa dei più fragili e degli esclusi, di cooperazione internazionale, di guerra al terrorismo e di lotta contro il riscaldamento climatico.

Macron il tecnocrate ha ritrovato nella sera della sua celebrazione, l’empatia che il Paese gli chiede. Da tempo convinto che la Francia vada profondamente riformata per liberare il potenziale economico e creare occupazione, Macron è oggi ben consapevole che una svolta liberale non basta a placare la rabbia degli esclusi, a fugare i dubbi di generazioni che vedono il loro futuro all’insegna dell’incertezza se non del precariato.
Ieri nel paese dei diritti dell’Uomo ha vinto l’Europa, certo. Il populismo arretra. Ora però gli impegni devono trovare concretezza. Nell’interesse di tutti, della Francia e del continente.

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