L'analisi

Putin ‘offre’ all’Occidente la disponibilità al dialogo

2 dicembre 2016
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Segnali di disgelo dall’Est. Con il suo discorso sullo stato della Federazione e con la successiva pubblicazione delle nuove linee guida in politica estera Vladimir Putin mostra disponibilità a riallacciare il dialogo con l’Occidente. Come in America Donald Trump pone al primo posto gli interessi nazionali davanti a tutto il resto, così fa il capo del Cremlino. Con gli Stati Uniti la Russia si attende il “reset” nelle relazioni bilaterali, ma “non accetta la giurisdizione Usa extra-territoriale e le pressioni” di ogni genere. L’Unione europea è “un partner politico ed economico interessante” e la Federazione mira ad una “cooperazione stabile e prevedibile”. L’abolizione dei visti con l’Ue sarebbe un passo stimolante. I cardini della dottrina per l’estero sono la sicurezza nazionale, la sovranità e l’integrità territoriale, il rafforzamento degli istituti democratici. Mosca osserverà anche con attenzione che le sue merci non vengano discriminate lontano dai propri confini in un momento in cui, ha spiegato il presidente ai notabili del Paese, si alzano barriere ed il protezionismo sui mercati crea nuovi problemi. “Siamo contrari all’allargamento della Nato, all’avvicinamento di strutture militari straniere alle frontiere”, dice la Russia, che vuole essere trattata come partner alla pari dall’Alleanza atlantica in un’ottica di comune sicurezza. La crisi ucraina va risolta con “metodi politico-diplomatici”, ma non si comprende perché, allora, non siano stati rispettati gli impegni assunti due anni fa a Minsk. Mosca non si attende guerre di grandi proporzioni, ma sono maggiori i pericoli di “conflitti regionali e dell’escalation di crisi”. Il Cremlino è contrario a qualsiasi intervento militare, che violi la sovranità degli Stati. Il riferimento alla Siria è chiaro. Vladimir Putin, in sintesi, mette le mani avanti e propone un programma per i futuri rapporti nel post-Obama. Ma non sarà facile, anche perché difficilmente i repubblicani Usa, in maggioranza “russofobici” (classica definizione della propaganda), cancelleranno le sanzioni. Ecco quindi che davanti alla sua gente il capo del Cremlino ha sostenuto che le misure restrittive occidentali non sono un problema per l’economia nazionale, che si sta diversificando. Indirettamente Putin risponde così alle accuse di aver sbagliato il modello di sviluppo e di non aver previsto la crisi delle materie prime. Il fatturato del Paese (il Pil prodotto) è passato dai 2’031 miliardi di dollari nel 2014 ai 1’326 nel 2015. La Russia è diventata povera, poiché sono venute a mancare le entrate da petrolio e gas, pari a più del 50-55% del bilancio statale. Fermare questa parabola discendente non sarà per niente facile. Ma se non vi si riuscirà, la missione di Putin di conservare per la Russia un ruolo di primo piano sul palcoscenico internazionale diventerà disperata. Un ultimo elemento: il 2017 segnerà il centenario delle rivoluzioni di febbraio e di ottobre. Mosca non vuole lezioni da altri, è il messaggio. Il “silenzio” sul comunismo e la scarsa conoscenza della storia patria hanno portato a mistificazioni. Non deve sorprendere che sia stato appena innalzato un monumento ad Ivan il terribile, uno dei più sanguinari autocrati del Paese.

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