L'analisi

Da Brexit una scossa all’Ue

4 luglio 2016
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Dopo il 23 giugno, lo scontro tra i “leave” e i “remain” non si placa, esce dai confini britannici e diventa globale. Raffinati analisti, consumati esperti e improvvisati opinionisti – con toni spesso da stadio – si sono schierati, hanno interpretato, discettato, speculato. Dopo l’elettrochoc iniziale (François Hollande), alcune dinamiche appaiono più chiare e grazie a una progressiva messa a fuoco il quadro appare più nitido. Le ragioni della Brexit sono certamente multiple, dettate sia dalla realtà sia da quell’incessante manipolazione in chiave populistica che risponde ai problemi complessi con la semplicità di qualche slogan ad effetto. E che attecchisce e imperversa sui tabloid e sui social network, così come le palesi menzogne dei fautori del “leave”: la più flagrante è quella di riversare settimanalmente nelle casse della sanità i 350 milioni di sterline risparmiati uscendo dall’Unione europea. I britannici hanno certamente votato contro l’immigrazione, la globalizzazione, la smisurata burocrazia, la finanziarizzazione dell’economia, il deficit di democrazia. Alla xenofobia, alimentata anche dall’eccessiva velocità dei processi migratori, si aggiungono ragioni più nobili: all’Unione europea tra le tante cose, si rimprovera in sostanza di non essere in grado di regolare un capitalismo che crea incertezza e squilibri. Il parziale paradosso è che in buona parte l’Ue è nata e cresciuta per proteggere il continente e per dargli più sicurezza, anche economica e sociale. E che in parte l’Ue agisce pure da baluardo contro alcuni effetti deleteri della globalizzazione. Un messaggio che tuttavia non è passato: l’arroganza di alcuni leader, a cominciare dal commissario Jean-Claude Juncker e l’apparato elefantiaco delle istituzioni, hanno rafforzato un’immagine parziale e spesso distorta dell’Europa. Sul fronte anti-europeo, le esitazioni, il panico, le retromarce, i regolamenti di conti nel campo dei vincitori hanno fatto saltare il tappo di una leadership britannica impreparata e mediocre, incapace di dare coerenza al progetto isolazionista. Senza particolari meriti, l’Unione sta beneficiando così di un effetto speculare: la paura di abbandonarla guadagna terreno. I leader europei chiedono ora a Londra di accelerare, ma Londra frena. Ribaltamento inatteso dei ruoli. Di fronte al Regno Unito, Bruxelles alza la cresta e l’asticella. E – facile da immaginare – farà lo stesso con la Svizzera che con il progetto “bottom up” elaborato dall’Eth di Zurigo cerca la quadratura del cerchio dopo il voto del 9 febbraio. L’Europa si trova dunque in paradossale momentanea posizione di forza all’indomani del 23 giugno. In prospettiva è però chiamata a procedere a profonde riforme in direzione di un sistema federale, come suggerisce l’economista francese Thomas Piketty. L’Europa dei popoli, passa attraverso un’armonizzazione fiscale e sociale, ferree regole di contenimento della finanza, e un sistema federale che rafforzi il ruolo del parlamento e ponga fine al diritto di veto e all’immobilismo che ne deriva. Brexit può così costituire lo scossone in grado di ridare slancio a un’istituzione stanca quanto necessaria in un’epoca di sfide globali. Solo in questo modo si eviterà in futuro quell’implosione che qualche giorno fa sembrava inevitabile e che oggi in realtà più che l’Unione europea sembra minacciare il Regno Unito.

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