L'analisi

Obama e gli ‘scrocconi’ europei

25 aprile 2016
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Obama ha dunque riattraversato l’Atlantico. Per quello che dovrebbe essere il suo ultimo vertice in Europa con i principali alleati del vecchio continente. Ultimo da presidente. Un presidente Usa quasi costretto a rimettere la questione europea al centro dei suoi interessi. Lui che, quasi magnetizzato dal confronto con l’Asia, all’inizio del mandato sembrava considerare l’Ue un partner per nulla problematico, da poter trascurare, e comunque ancora disposto ad assecondare Washington nella pessima idea statunitense di spostare sempre più le basi Nato a ridosso di una Russia allarmata e frustrata dalla perdita dell’impero. Negli ultimi sette anni il ‘pivot Asia’, cioè l’attenzione per il rapporto semicollaborativo e semiconflittuale con la nuova Cina, è rimasto prioritario nella visione obamiana. Ma contemporaneamente le turbolenze europee si sono moltiplicate: pericolo di collasso dell’euro, tragedia greca, rischio di implosione dell’Ue, austerità da impoverimento, neonazionalismi (confermati ieri dal voto austriaco), Ucraina, occupazione russa della Crimea e (surrettiziamente) del Donbass, ondate migratorie dal Medio Oriente in fiamme. Un rosario di crisi che la Casa Bianca ha seguito con crescente inquietudine. Cosa pensi dell’Europa, Obama l’ha detto con brutale e inedita schiettezza appena cinque settimane fa alla rivista ‘The Atlantic’: scroccona questa Europa, responsabile (soprattutto Francia e Gran Bretagna) del caos in Libia, incapace del ‘follow up’ e quindi di organizzare il dopo Gheddafi, con Cameron “che si è distratto”, e con Sarkozy “che si vantava degli aerei libici abbattuti mentre eravamo noi americani ad abbatterli”. Tuttavia, prima di imbarcarsi sull’Air Force One, nell’intervista all’inglese ‘Daily Telegraph’, consapevole delle critiche che avrebbe suscitato la sua opposizione alla ‘Brexit’ (l’uscita del Regno Unito dall’Ue), Obama ha ricordato che “le decine di migliaia di americani che riposano nei cimiteri d’Europa testimoniano la forza del legame della nostra prosperità e della nostra sicurezza”. Reazioni europee? Un tombale silenzio. Del resto, una cosa il presidente statunitense ha gentilmente evitato di evocare: che l'America finanzia il 75 per cento delle spese della Nato, cifra ben presente ai leader di un’Europa che, non volendo essere Europa unita, continua a delegare al Pentagono, e quindi anche agli interessi di Washington, la propria sicurezza militare. Si può rigirare la frittata mille volte, inveire contro le manovre politico-economico-finanziarie della superpotenza (Panama Papers compresi), inneggiare a Putin come santo protettore di non si sa bene cosa, ma questa è la realtà, una realtà che il fallimento europeo di integrazione non fa che consolidare. Dunque, se in questa tournée l’ospite americano cederà qualcosa di fronte alle preoccupazioni europee sarà soltanto perché è nell'interesse della sua politica e non per le suppliche dei suoi interlocutori. Chissà, forse un eventuale e parziale allentamento delle sanzioni economiche contro la Russia che penalizzano l’industria europea (Obama ha pur bisogno di Putin per tentare la pace in Siria), in cambio di un rinnovato impegno dei partner continentali a favore del Trattato bilaterale sul commercio e gli investimenti (un’ulteriore, preoccupante liberalizzazione del mercato transatlantico) che sta registrando crescenti opposizioni nell'opinione pubblica europea e anche statunitense (del resto, persino giornali votati alla strenua difesa della “libera mano del mercato” cominciano a interrogarsi sugli effetti e la bontà della mondializzazione senza redini politiche). È solo una fragilissima ipotesi. Obama predica l’unione dell’Ue. Del resto, l’Europa così com’è, che fastidio dà?

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